Zanetti si racconta: “Venezia, ci siamo scelti. Fondamentale dialogare con i calciatori”
ZANETTI VENEZIA – Paolo Zanetti, tecnico del Venezia, si è raccontato ai microfoni del numero di aprile del mensile “Il Nuovo Calcio“. Diversi i temi affrontati: “Mi sono sempre immaginato allenatore, vuoi per la posizione che ricoprivo (centrocampista centrale, ndr), vuoi per il fascino che aveva su di me questo incarico. Mi capitava di annotarmi […]
ZANETTI VENEZIA – Paolo Zanetti, tecnico del Venezia, si è raccontato ai microfoni del numero di aprile del mensile “Il Nuovo Calcio“. Diversi i temi affrontati: “Mi sono sempre immaginato allenatore, vuoi per la posizione che ricoprivo (centrocampista centrale, ndr), vuoi per il fascino che aveva su di me questo incarico. Mi capitava di annotarmi gli allenamenti che svolgevo, provavo a capire le sfumature del mestiere. L’allenatore, un uomo solo a gestire un gruppo di persone, è un una situazione particolare. Le capacità tecniche sono importanti, ma pure quelle gestionali. Ho sempre pensato di avere delle qualità per ricoprire questo ruolo, al di là delle categorie in cui potevo confrontarmi. Quindi, per qualche infortunio di troppo, ho deciso di investire su di me e iniziare da subito questa professione.
Qualcuno che mi ha ispirato durante il mio percorso da calciatore? Ho avuto 27 allenatori. Ho sempre giocato in squadra che erano nella parte destra della classifica, bisognava salvarsi e la brutta abitudine italiana di cambiare quando le cose non vanno bene mi ha portato a scendere in campo per numerosi tecnici. Ho imparato da tutti, sia gli aspetti positivi sia quelli negativi sono stati importanti nella mia formazione. Se devo fare qualche nome, dico Mario Somma e Andrea Mandorlini, per la mentalità offensiva del loro gioco in cui mi rivedo parecchio.
La qualità più importante per un allenatore? Bella domanda, direi la strategia. Ormai a livello di lavoro settimanale, di studio degli avversari, di analisi in Italia siamo davvero evoluti. E non dico solo in A o in B. Anche in Serie C e nei dilettanti ci sono tecnici competenti e preparati. Per questo, credo che in termini di strategia di gara si possa dare qualcosa in più alla propria squadra. Non parlo solo di sostituzioni, ma di gestione emozionale, di modalità comunicative, di controllo dei propri stati d’animo, di scelta del timing degli interventi, di cosa dire e di come parlare. I giocatori hanno necessità del mister in certi frangenti, poi non si deve mai dimenticare che basta un episodio a cambiare una settimana di lavoro studiata meticolosamente. L’allenatore deve vivere nel cambiamento, deve essere pronto a un piano B, a uno C, ancora di più in questa stagione.
Quest’anno è particolare, è necessario farsi trovare preparati. Per prima cosa siamo chiamati a convivere con un virus che può portarti via i giocatori dalla mattina alla sera, per un periodo di tempo variabile. Quindi, l’intero gruppo deve restare sulla corda, devi far sentire tutti protagonisti, perché i cambi di formazione possono essere improvvisi. Ci sono pure tante partite ravvicinate. Devi allenarti giocando come fanno i top club d’Europa. A volte ti tocca preparare una partita in 24 ore. E i dettagli fanno la differenza.
Il rapporto coi giocatori è fondamentale, è determinante e occorre impegnare del tempo con loro anche da questo punto di vista. Non sono tutti uguali, ognuno ha il suo carattere, coi suoi pregi e difetti, con le sue chiavi comunicative, con mille sfaccettature che il mister deve considerare, sempre. Oltre al rispetto dei ruoli, da cui non si può transigere, instaurare un rapporto sul dialogo è fondamentale. Si deve far passare il messaggio, coi fatti non solo a parole, che ci si sta impegnando al massimo per il suo miglioramento. Così i benefici saranno notevoli. Crederà in te, ti seguirà e, se occorre, potrai essere anche duro in certe situazioni. Lo accetterà: il richiamo non sarà visto come un autoritarismo gratuito, ma come mezzo per crescere.
Venezia? Ci siamo scelti, quando ci siamo incontrati sono bastati quindici minuti. Un percorso insieme, fatto di idee condivise, per creare una certa mentalità. L’appeal della città è eccezionale, è una delle più belle al mondo e noi la rappresentiamo calcisticamente.
Il nostro modo di giocare? Credo che le caratteristiche dei giocatori e l’idea di gioco vengano prima di numeri o altro. Abbiamo costruito una squadra che fa della duttilità una delle sue armi migliori. Lavoriamo tendenzialmente per principi, non schemi o codifiche troppo nette, tranne che per il non possesso. Lì sì, vi sono delle tracce precise, che cambiano però in funzione dell’avversario e della partita che desideriamo fare. Possiamo difendere ad esempio 4-3-3 oppure 4-1-4-1. I concetti che sottendono il nostro lavoro sono dinamicità e identità di squadra, poi possiamo usare un 4-2-3-1, un 4-4-2, un 4-3-3 con gli esterni, con due trequarti, “sghembo”, cambia poco. Per questo motivo non abbiamo avuto finora tante difficoltà quando siamo stati obbligati a cambiare gli interpreti. L’idea di calcio è di tutti e la nostra, in possesso, ha come parola chiave imprevedibilità“.
LA RESTANTE PARTE DELL’INTERVISTA È DISPONIBILE NEL NUMERO DI APRILE DE “IL NUOVO CALCIO”