ESCLUSIVA PSB – Ascoli, Sottil: “Qui si lavora bene. Il margine di miglioramento è mentale”
SOTTIL ASCOLI – La miglior fase dell’Ascoli targato Pulcinelli è quella che, in questi mesi, vede Andrea Sottil al timone. Il tecnico, la cui carriera è stata spesso sottovalutata ma che non ha mai rinnegato le proprie idee di calcio riuscendo, allo stesso tempo, a centrare gli obiettivi prefissati, sta conducendo il Picchio verso vette […]
SOTTIL ASCOLI – La miglior fase dell’Ascoli targato Pulcinelli è quella che, in questi mesi, vede Andrea Sottil al timone. Il tecnico, la cui carriera è stata spesso sottovalutata ma che non ha mai rinnegato le proprie idee di calcio riuscendo, allo stesso tempo, a centrare gli obiettivi prefissati, sta conducendo il Picchio verso vette inesplorate di identità e consapevolezza. La squadra è attualmente al primo posto ma, raggiunto in esclusiva dai nostri microfoni, Sottil si è soffermato sul percorso intrapreso e sulla strada ancora da fare.
Il suo percorso con l’Ascoli va avanti da diversi mesi. Nel corso di questa esperienza ha reso il Picchio una squadra riconoscibile: questo è probabilmente il miglior segno del lavoro di un allenatore. A che punto è il viaggio dall’Ascoli che ha trovato all’Ascoli che immagina?
“Questo è un percorso che va avanti dallo scorso dicembre, avere la possibilità di continuare a lavorare con la grande parte del gruppo è stato fondamentale, perché ha permesso di dare seguito a una conoscenza umana, sociale e tecnico-tattica. Assieme al direttore e al presidente abbiamo completato la squadra per quelle che erano le necessità tecniche, questo ha fatto sì che il lavoro potesse proseguire con un’aggiunta di qualità grazie a giocatori consoni e funzionali alle mie idee. Stiamo facendo bene, a mio avviso l’Ascoli ha grandi margini di miglioramento. Questa è una squadra completa, che ha forza, la prima-citata qualità e grande esperienza. Qui ho la possibilità di scegliere calciatori con caratteristiche differenti da inserire nel sistema di gioco, si può dunque lavorare molto bene”.
La domanda precedente ha un ulteriore senso di seguito spiegato: nel post partita della sfida contro il Como, ha regalato un virgolettato dal significato molto intenso: “Non dobbiamo avere paura di essere bravi”. È questo, dunque, l’ulteriore step che chiede ai suoi ragazzi, ovvero l’acquisizione della consapevolezza di poter incidere ed essere propositivi senza timore di sbagliare?
“Assolutamente sì, è quanto dico tutti i giorni ai ragazzi. Non bisogna avere paura di essere bravi ha questo significato: ci sono già gli avversari che provano a metterci in difficoltà, se entriamo in campo con l’assillo mentale di non poter essere all’altezza non si fa altro che non giocare la partita che abbiamo preparato. Bisogna imprimere il ritmo dal primo minuto e pensare a cosa fare. Il margine di miglioramento è soprattutto mentale, perché è da lì che parte tutto: raggiungere la consapevolezza della propria identità e del modo di scendere in campo permette al resto di venire in maniera più facile. È sempre la mente a comandare il corpo, dunque lo step riguarda la personalità e la capacità di saper osare, perché questa squadra già dalla scorsa stagione sta dimostrando di avere delle qualità. L’avversario va rispettato, sempre, ma bisogna anche lavorare su di noi e su cosa vogliamo ottenere in ogni partita”.
Le sue squadre hanno sempre ricercato e spesso ottenuto l’applicazione di un concetto che nel calcio è trattato ma alle volte banalizzato, ovvero quello di equilibrio. Grande compattezza ma, allo stesso tempo, la ricerca della qualità negli ultimi trenta metri, dove ha sempre lasciato grande libertà ai giocatori estrosi: Mancosu ed Emanuele Catania nelle due esperienze a Siracusa, Lodi a Catania, Sabiri prima e Fabbrini poi in quel di Ascoli. Quanto è importante per lei questa fusione di ricerche, caratteristiche e principi?
“Penso che nel calcio bisogna avere equilibrio e compattezza, due qualità che devono essere proprie di una squadra. Difendersi bene, collettivamente, per me è una colonna portante. Detto questo, mi piace molto attaccare e mettere in difficoltà gli avversari e, come dicevo prima, cerco di implementare ciò attraverso la ricerca di giocatori con caratteristiche variegate. Penso che gli attaccanti siano, tra virgolette, una razza ben definita: estrosi, giocatori di inventiva e di genio, di forza e vivacità, dunque cerco di dare sempre delle linee tattiche da sfruttare per cercare di portare il pallone il più veloce possibile a questi giocatori, che devono trovarsi nelle posizioni a loro più congeniali e far partire da lì l’interpretazione della circostanza e la conseguente scelta. L’attaccante deve avere la libertà di esprimersi per quello che è il suo estro”.
Un punto sul quale lei sta insistendo ad Ascoli è il miglioramento dei calciatori, che sta ottenendo attraverso le sue indicazioni tattiche e il ricorso al costante dialogo. Ha reso Saric un calciatore box to box come pochi nella cadetteria, c’è un altro elemento della rosa che, secondo lei, ha del potenziale ancora non pienamente rivelato?
“Parto dal rapporto con i giocatori: alle volte nel calcio si etichetta e si sposano pregiudizi. Per me questo è sbagliato, bisogna sempre contestualizzare il giocatore, lo dico perché l’ho vissuto anche io da calciatore. In una piazza fai bene, in un’altra no: ci si chiede il perché? La risposta è da ricercare nel rapporto con l’allenatore, che ti mette o meno nelle condizioni di essere te stesso, che ti dà o non ti dà stima e fiducia. Ho un rapporto molto diretto con i calciatori e, per quanto siamo consapevoli dei rispettivi ruoli, cerco sempre di ascoltarli. Non bisogna creare muri ma entrare in simbiosi: qui ci stiamo riuscendo, sono tutti ragazzi intelligenti, ognuno con il proprio carattere, ma ugualmente disponibili ed è grazie a questo che si ottengono determinati risultati. Tra le parti deve esserci fiducia reciproca, seppur ovviamente possa capitare che qualcuno non riesca a sintonizzarsi, come accade in ogni squadra del mondo. Non è questo il caso. In merito alla parte della domanda sul singolo, dico che a me piace sempre parlare del collettivo, per quanto ci siano chiaramente dei calciatori, come Saric, che essendo più giovani crescono in maniera esponenziale. Dario è in una fase straordinaria, ed è un esempio di giocatore che doveva migliorare in merito a determinati principi tecnici e tattici, l’ha fatto e secondo me può crescere ancora tantissimo. Ha una notevole capacità fisica, che gli permette di ribaltare l’azione, e doti tecniche rilevanti. Stiamo lavorando dalla passata stagione, ma questo accade grazie a doti quali disponibilità, intelligenza e umiltà. Quando un calciatore si accorge del miglioramento capisce che deve ascoltare e confidare nel lavoro che gli viene fatto fare. Fermo restando il discorso sul collettivo fatto, cito due nomi per rispondere direttamente alla richiesta: Caligara e Maistro, calciatori di estremo talento che ancora non hanno raggiunto il massimo delle proprie potenzialità. Caligara è con noi dalla scorsa stagione e ha già dimostrato qualcosa, Maistro è un calciatore talentuoso, deve lavorare a determinate velocità e intensità, come sta facendo. Si è integrato molto bene”
Chiederle dell’obiettivo sarebbe probabilmente banale, dunque chiudiamo così: cosa spera che l’Ascoli riesca ad ottenere da qui alla fine della stagione in termini di prestazioni, giocate e gestione dei momenti?
“L’obiettivo è giocare partita dopo partita, pensando all’avversario di turno. Ad esempio ora pensiamo al Benevento. Per quanto riguarda me e i miei collaboratori, vogliamo portare la squadra a giocarsi sempre la partita, dal primo al centesimo minuto, sapendo costantemente interpretare la situazione. Questo a livello collettivo, perché per me essere squadra vuol dire leggere ogni situazione velocemente ed essere organizzato per rispondere a ogni cambiamento. Puntiamo anche a migliorare i singoli, sia quelli più esperti che quelli più giovani, di cui qualcuno sta già giocando. È una soddisfazione vederli partire con le Nazionali giovanili oppure, come nel caso di Saric, convocati con la Nazionale maggiore di riferimento. Questo conta per me e per la società, perché il patron fa un sacco di sacrifici economici ed è bello avere un ritorno professionale di prestigio”.