ESCLUSIVA PSB – Mastour tra considerazioni sul passato e auspici per il futuro
Federico Buffa ed Elena Catozzi, nel libro scritto su Muhammad Ali, indiscutibilmente lo sportivo più influente del ‘900, raccontano a un certo punto della sua conversione e adesione alla Nation of Islam. Cassius Clay, a seguito del battesimo da parte di Elijah Muhammad, diventa proprio Muhammad Ali. Una delle tante scelte impattanti da parte di […]
Federico Buffa ed Elena Catozzi, nel libro scritto su Muhammad Ali, indiscutibilmente lo sportivo più influente del ‘900, raccontano a un certo punto della sua conversione e adesione alla Nation of Islam. Cassius Clay, a seguito del battesimo da parte di Elijah Muhammad, diventa proprio Muhammad Ali. Una delle tante scelte impattanti da parte di un “uomo decisivo per uomini decisivi”, che genera stupore da parte della famiglia e il disappunto dell’intera World Boxing Association. A difenderlo avrebbe avuto il suo entourage, con Angelo Dundee su tutti che, il giorno in cui Cassius diventò ufficialmente Muhammad, tentò di stemperare la tensione menzionando Romeo e Giulietta: “Un nome, che cos’è un nome”. Ecco, ponderando epoche e soggetti interessati, il “nome” è quanto ha prima innalzato, poi abbattuto, Hachim Mastour. La narrazione attorno a questo giovane fantasista classe ’98 è stata esagerata a suo tempo, ed è arrivata a descriverlo come un personaggio, “una macchina da spremere”, come egli stesso si è definisce in esclusiva ai nostri microfoni. Errore enorme sotto un aspetto tanto umano quanto professionale perché, fattispecie che non tutti hanno recepito, continuando a martoriare Hachim per un passato che l’opinione pubblica martoria senza che ne sia comprensibile la motivazione, siamo al cospetto di una persona.
Inevitabile partire con la più scontata delle introduzioni: come stai? Una domanda che è opportuno farti sia per l’aspetto fisico che per quello mentale.
“Grazie, sto bene sia mentalmente che fisicamente. C’è chi ti chiede come stai e chi fa di tutto per farti stare meglio. È questo quello che distingue le persone importanti, per cui ringrazio la mia famiglia per essermi stata sempre vicino. Non nego di aver passato momenti difficili, ne ho passate tante ma è da quei momenti che si forma un uomo con carattere. Fisicamente mi sento molto in forma. Mi alleno sempre, perché l’allenamento fa parte del mio stile di vita”.
Hachim, menzioniamo la tua esperienza con la Reggina. La piazza calabrese, come dichiarasti ai nostri microfoni, suscitava in te quelle che hai definito “sensazioni differenti”, così da sottolinearne il calore. Soffermandoci sui mesi vissuti in Serie B, soprattutto nella prima parte del girone d’andata hai trovato spazio e offerto giocate di qualità. Sei rammaricato per non aver potuto dimostrare ulteriormente le tue qualità con la casacca amaranto in cadetteria?
“Parlando della mia esperienza alla Reggina devo dire, come ho sempre ribadito, che la città e i tifosi mi hanno accolto veramente in maniera eccezionale! È un popolo che mi ha fatto sentire il calore e il valore di quella maglia. Mi hanno fatto sentire a casa! Ero onorato di poter giocare in una piazza importante come Reggio; poter dialogare in campo con giocatori del calibro di Crisetig, Menez, Denis era un qualcosa di favoloso che poteva permettere di mettere in risalto le mie qualità tecniche. Mi sono sempre messo a disposizione della squadra, dando il massimo ogni giorno e ad ogni singolo allenamento. Purtroppo però i risultati tardavano ad arrivare e la scelta tecnica ricadeva su giocatori con altre caratteristiche. Ho capito che non fosse la strada giusta per me dopo essere stato vittima di episodi molto spiacevoli da parte di alcuni compagni di squadra. Senza alimentare polemiche inutili, ci terrei molto a ringraziare in modo speciale il presidente Luca Gallo, che è stato veramente un secondo padre per me. Mi parlava sempre quando veniva a farci visita e ha sempre creduto in me. Lo abbraccio forte”.
Ti rimetti successivamente in gioco in Serie C, dove con il Carpi di mister Pochesci trovi spazio e un gioco in cui dai la sensazione di sentirti coinvolto. Un problema fisico ti ha poi limitato, ma anche in questa esperienza il tuo atteggiamento è sempre stato giusto e professionale.
“Sì, arriva la chiamata del direttore Andrea Mussi e del mister Sandro Pochesci che mi hanno voluto fortemente e che ringrazio tanto. Fin da subito feeling speciale con entrambi, dentro e fuori dal campo. Mi trovavo alla grande con le idee di gioco di Pochesci, a Carpi c’era un bel gruppo con bravi ragazzi”.
Ti va di chiarire le riprovevoli chiacchiere che hanno attanagliato i tuoi discorsi con il Foggia?
“Vorrei approfittare di questa occasione per poter chiarire in prima persona la questione Foggia, nella quale ritengo sia mancata la necessaria tutela nei miei confronti. Tutto è iniziato con un contatto da parte di Emanuele Canonico: ho avuto una piacevole chiacchierata con lui, nella quale lui ha apertamente manifestato un interesse nei miei confronti. Il modo in cui mi ha parlato mi è piaciuto molto e ad una sua ulteriore chiamata, gli ho riferito che avrei desiderato provare questa avventura nel caso in cui il Mister fosse stato d’accordo e mi avesse visto all’interno del suo gioco. Dopo aver ottenuto le dovute rassicurazioni da parte di tutta la società, ho deciso di andare a Foggia per parlare di persona e conoscere l’ambiente. Arrivando un giorno prima dell’inizio stabilito delle sessioni di allenamento, sono stato invitato dalla società ad assistere alla gara di campionato di quella domenica allo Zaccheria. Avevo chiesto gentilmente che tutto questo venisse fatto nel più completo anonimato: non essendo un giocatore del Foggia, desideravo che l’attenzione fosse posta sui protagonisti in campo. Una volta arrivato allo stadio, mi sono diretto sugli spalti per assistere al match: in quel momento sono iniziati i primi scatti fotografici e in rete si sono susseguiti numerosi articoli che mi ritraevano come un giocatore del Foggia, nello specifico che era stato “spedito” in tribuna e tra i responsabili del risultato negativo che sarebbe maturato in quella giornata. Ero arrivato in città da meno di 5 ore e purtroppo non credo sia stato tutelato nella maniera corretta. Mi sono allenato 4 giorni con loro ma non ci sono state le basi per iniziare questo percorso insieme per cui abbiamo deciso di chiudere il tutto. Auguro ogni bene a loro e mando ai compagni, che mi hanno riempito di gesti di stima in quelle poche sedute di allenamento, e a tutti i tifosi del Foggia un grosso in bocca al lupo”.
Accantoniamo momentaneamente il campo e accendiamo una luce su tutto ciò che ti circonda. Probabilmente non basterebbe un’intervista per commentare quanto segue, ma quando si parla di Hachim Mastour viene fuori una delle peggiori componenti dell’animo umano, ovvero la frustrazione. Pare che tu sia costretto a essere diverso, superiore, “condannato” dal talento a essere impeccabile per offrire prestazioni costantemente luccicanti, quando forse vorresti solo giocare a calcio. Come vivi questa situazione?
“Vi assicuro che essere Hachim Mastour non è stato e non è semplice. Vivo da sempre con i riflettori addosso: da un lato è una cosa che ovviamente mi fa piacere perché mi stimola a dare sempre di più, dall’altro genera sempre pressioni notevoli nei miei confronti. Come dico sempre, io vorrei solo giocare a calcio ed essere trattato come un semplice ragazzo di 23 anni, che commette errori e che è determinato nel migliorare ogni giorno per potersi ritagliare con il sacrificio, l’umiltà e il lavoro, una carriera a livelli importanti”.
Hai raccontato, ed è doveroso crederti e tenderti una mano, di aver vissuto momenti difficili, giornate in cui tornavi a casa e piangevi. Ognuno di noi è un sistema complesso che interagisce con l’esterno, dunque non siamo inquadrabili in categorie predefinite, motivo per il quale per il tema che segue non esistono risposte da catalogo ed emozioni codificabili. Tutto questo per chiederti come tu abbia vissuto, e stia vivendo, tanto calcisticamente come psicologicamente l’essere Hachim Mastour, ovvero un ragazzo di appena ventitré anni che ha conosciuto tante dinamiche in pochi anni ed è ora costretto a chiedere rispetto a chi inveisce per offendere.
“Purtroppo ogni volta che entro in campo, buona parte della gente si aspetta che io prenda la palla, scarti tutti e vada in porta con il pallone. Per fortuna il calcio è uno sport fatto da 11 giocatori: tutti devono essere collegati. Ognuno mette a servizio dei compagni le sue qualità: c’è il giocatore che eccelle dal punto di vista tecnico e quello che eccelle dal punto di vista fisico-tattico. È un gioco di gruppo e ognuno è importante. Spesso ci sono persone che offendono gratuitamente anche sui social dove attaccano la mia persona, la mia mentalità e la mia professionalità. Io so solo una cosa: mi impegno ogni giorno per arrivare al top. La gente non conosce la verità, non vive le situazioni. Purtroppo nella nostra società si giudica con troppa leggerezza, e talvolta con molta cattiveria, la vita delle altre persone. Per quanto mi riguarda, sono un credente e credo che solo Dio possa giudicare le persone. Dio ha un piano per tutti noi: siamo in questo mondo solo di passaggio e se un qualcosa è prescritto, è prescritto”.
Torniamo sul nostro amato rettangolo verde, che è quanto dovrebbe piacevolmente monopolizzare. C’è una scelta prettamente sportiva, tra le ultime fatte, che non rifaresti?
“Ogni mia scelta è stata fatta sia il cuore che con la testa pensando che fosse la strada giusta in quel determinato momento, per cui non ho rimpianti. Ho il grande rammarico di essermi fidato di persone sbagliate, persone che mi hanno detto che mi avrebbero rovinato, che avrebbero infangato il mio nome al punto che non avrei più giocato a calcio. Volete sapere il perché? La risposta è semplice: mi vedevano come una macchina da soldi, una macchina da spremere. Voglio ricordare anche a loro che prima di essere un calciatore, sono un semplice ragazzo, come tutti gli altri. Un uomo che ama la sincerità e la lealtà: quando scopro che non è così, chiudo i rapporti”.
In conclusione, una domanda che sa più di augurio. Questo sport, su tua stessa ammissione, ti ha sempre regalato emozioni uniche. Ecco, cosa desidereresti in tal senso per il prossimo futuro?
“Ho avuto richieste da squadre italiane ed estere. Semplicemente non ho ancora trovato il percorso che rappresenti il giusto step di crescita per la mia carriera. Non so cosa mi riserverà il futuro. Oggi siamo qui, domani non lo sa nessuno. Sono orgoglioso della persona che sono e lascio le cose nelle mani di Dio”.