Fabio Cannavaro e l’opportunità meritata
Fabio Cannavaro si prepara alla prima esperienza da allenatore in Europa: presentiamo il nuovo allenatore del Benevento.
Fabio Cannavaro torna in Campania, regione che negli anni ha reso nuovamente Felix, come anticamente definita, grazie al vanto consegnato alla sua terra durante l’iconico percorso da calciatore. Ribadire quanto fatto dall’ex difensore inietterebbe sterilità nell’articolo, dunque è giunto il momento che anche in Italia si smetta di pensare esclusivamente al Cannavaro difensore ma si passi all’analisi del Cannavaro allenatore, veste che indosserà nell’esperienza in quel di Benevento.
A Benevento non arriva un novizio
Spesso, per calciatori che decidono di battezzarsi nella nuova vita da allenatore, si aprono interminati spazi leopardiani. Poco merito, tanto hype, ridotta profondità nella scelta, elevata incertezza. Elementi che si mescolano e plasmano un risultato che non è aritmetico, perché un grande calciatore non è necessariamente detto che diventi un grande allenatore, dato che il vissuto aiuta ma non esaurisce le necessità. Una delle più creative ma incisive frasi che il mistico Arrigo Sacchi ha consegnato al calcio concretizzava così il concetto: “Per diventare un buon allenatore non bisogna essere stati, per forza, dei campioni; un fantino non ha mai fatto il cavallo“. Fabio Cannavaro, che è senza dubbio stato un campione, ha optato per una serie di scelte che l’hanno per l’appunto allontanato da quest’alone di scetticismo e da quello che Maurizio Sarri ha definito “effetto Guardiola”. A conferma di ciò, il nuovo allenatore del Benevento viene da ben sette anni già passati in panchina.
L’esperienza cinese
Terminata la carriera con gli scarpini, Cannavaro ha cominciato in Cina quella con l’abito. Ha allenato – e vinto – sia in seconda divisione che nella massima serie, rispettivamente con il Tianjin Quanjian e il Guangzhou, esperienze che gli hanno permesso di assorbire il passaggio da un ruolo in cui si poteva e doveva impattare con i muscoli a uno in cui bisogna incidere con la freddezza e la gestione delle risorse umane. Emisferi all’apparenza simili ma in realtà opposti, dove aver vissuto in uno non garantisce – per quanto, ribadiamo, possa agevolare – la sopravvivenza nell’altro. Sette anni, ad ogni modo, sono sufficienti per fare proprio un calcio, quello cinese (con una parentesi in Arabia Saudita), differente rispetto al cugino del Vecchio Continente, motivo per il quale l’Europa e la Serie B rappresentano un banco di prova che Cannavaro desiderava e meritava.
Le aspettative sul modello di gioco
Parlare di numeri, nota che nel calcio contemporaneo pare essersi oramai, fortunatamente, diffusa, non serve a spiegare lo stile di gioco e i principi che contraddistinguono il credo di un allenatore. Ad ogni modo, Cannavaro difficilmente ha negoziato la possibilità di scendere in campo con quattro difensori. Dalla cintola in su, il Campione del Mondo ha palesato preferenze ma nessun dogma, avendo giocato con una mediana a tre e due ali disposte in ampiezza, oppure con un trequartista e due esterni offensivi dietro la prima punta, il tutto supportato da un centrocampo composto dal Doble Cinco, ovvero due mediani abili a interdire e costruire. Su questo torneremo a brevissimo.
In merito ai principi che ne animano le squadre, è stato lo stesso Cannavaro (nel suo intervento alla Bobo TV del febbraio 2021) a suggerire qualche indicazione: “Quando sono arrivato qui (al Guangzhou, ndr) ho chiesto al mio portiere di giocare da dietro, di iniziare a impostare per cercare di palleggiare basso per poi aprire lo spazio alle spalle della linea difensiva avversaria. […] Non mi piace che si giochi in orizzontale, preferisco un possesso palla che serve ad andare avanti invece che a fare una melina poco utile. Gioco molto con le mezzali, lavoro con sovrapposizioni e aperture in fascia, tutte cose di cui ho fatto esperienza in questi anni. Il modulo (eccoci, ndr) che ho portato avanti in questi anni e che preferisco è il 4-3-3, l’anno scorso nel momento più difficile ho dovuto rispolverare il 3-5-2, per preparare una strategia diversa e per una questione di emergenza, perché non avevo un terzino sinistro“. Qualità, verticalità (non esasperata), pericolosità: questi i pilastri dell’allenatore.
Consapevolezza
Questa è la prima sensazione che traspare analizzando il percorso e ascoltando le parole di Cannavaro. Consapevolezza del percorso che l’ha reso riconosciuto e riconoscibile su scala mondiale (come da lui stesso confermato: “Gente come noi, quando entra in uno spogliatoio, ha un impatto diverso”), così come consapevolezza del discorso riguardante fantino e cavallo (ancora Fabio: “I giocatori ti pesano, a volte non è quello che dici, ma come lo dici. Oggi non è come ai nostri tempi, il calciatore inizia a parlare di tattica, vuole essere indirizzato, complici tutte le conoscenze che ci sono. Noi eravamo istintivi, mentre oggi un calciatore può vedere Cannavaro e dire che non capisce un cazzo. Bisogna trasferire certezze).
Cannavaro, dunque, si (ri)presenta in Campania per mostrare, a chi ora lo ritiene (in maniera miope) esclusivamente un leggendario cavallo, che sulla panchina del Benevento siede un fantino di livello.