ESCLUSIVA PSB – Sergio Pellissier: “Sorpreso dal Frosinone. Alla SPAL ho vissuto anni fantastici. Su Corini…”
La nostra intervista a Sergio Pellissier
Approfittando della sosta per il campionato cadetto, la nostra redazione ha sentito in esclusiva Sergio Pellissier, storica bandiera del Chievo Verona e attuale presidente della Clivense, società veronese che milita in Eccellenza. Di seguito l’intervista completa.
Dopo una prima parte intensa di stagione, la B osserverà un po’ di pausa. In testa c’è il Frosinone di Grosso, seguito a ruota dalla Reggina di Inzaghi e dal Genoa di Gilardino, tre campioni del Mondo 2006. Sei sorpreso dai risultati che stanno ottenendo? A tuo avviso queste tre squadre si contenderanno fino alla fine la promozione?
«Sono sorpreso anche per quanto riguarda squadre delle quali si era convinti che andassero su subito. Parlo ad esempio dello stesso Genoa e del Cagliari. E vedere lì davanti il Frosinone un po’ mi sorprende, anche se sta facendo un campionato ottimo, sta giocando veramente bene. Si tratta di una competizione abbastanza combattuta, perché basta perdere 2/3 partite e ti ritrovi nella zona play-out, la classifica è molto corta».
Nel tuo passato, agli inizi della carriera, c’è la SPAL. Cosa pensi della scelta di aver puntato su un tecnico alle prime armi come Daniele De Rossi? E che ricordi conservi del periodo estense?
«Sicuramente la situazione difficile che stanno vivendo non è colpa del tecnico. Negli ultimi due anni hanno già cambiato tre allenatori, quindi vuol dire che qualcosa c’è all’interno della società e magari i giocatori non sono all’altezza del campionato. Ho visto più di una partita della SPAL, in questo momento non stanno giocando bene anche se stanno lottando tanto. L’impegno e la grinta con uno come Daniele non mancano di certo, però devi costruire tutto e non è semplice quando non arrivano i risultati, fermo restando che qualche vittoria importante l’ha conquistata: andare a vincere a Parma, ad esempio, non è da tutti.
Di quel periodo ho dei ricordi fantastici, credevano in me, mi hanno aspettato e fatto crescere. Poi solo dopo un anno e mezzo di permanenza, i tifosi mi hanno applaudito, mi hanno dedicato dei cori per cui vuol dire che qualcosa io ho dato a loro, ma soprattutto loro hanno dato a me. Cori del genere, nonostante il poco tempo, testimoniano che ti vogliono bene: questa è una cosa molto bella del calcio».
Restando in tema allenatori, ce ne sono due legati al campionato di B attuale che hai avuto nel tuo percorso: Eugenio Corini del Palermo e Maran, esonerato qualche mese fa dal Pisa. Che rapporto avevi con loro e quanto sono stati importanti per te?
«Ogni allenatore ti dà qualcosa nel bene e nel male. Entrambi mi hanno dato tanto dal punto di vista della crescita. È vero che li ho avuti verso fine carriera però mi hanno fatto crescere comunque. Corini mi ha messo in panchina e quindi mi ha fatto ricominciare da capo, questo è un bene quando arrivi a una certa età e magari sei convinto di essere titolare inamovibile: ciò mi ha dato la forza di dimostrare le mie qualità e che magari lui si potesse sbagliare. Mi ha ridato poi il posto titolare, quindi sono riuscito a riconquistarmi i miei spazi, proseguendo la mia carriera. Indubbiamente sono due allenatori che pretendono e non guardano – giustamente – in faccia a nessuno».
La lista dei tuoi ex compagni che militano ancora in B è lunga. Ti cito alcuni nomi: Alfonso, Farias, Solini, Inglese e Garritano. Che tipo di persone e di professionisti sono?
«Tanti di loro li ho avuti parecchio tempo fa, sono cresciuti, hanno fatto la loro carriera dimostrando di meritarsi il professionismo, tra Serie B e A. Si tratta di giocatori che hanno fatto esperienza, che al Chievo hanno fatto comunque il loro passaggio, c’è chi ha dato di più e chi meno però tutti sono passati da qua. Li ho potuti vedere anche da giovani quando non erano ancora nessuno».
In ultimo, c’è qualche giovane attaccante italiano per cui predevi un futuro roseo davanti a sè?
«Adesso è difficile capire cosa vuol dire attaccante: in questo momento, anche in Serie A, si fa fatica a trovare un attaccante vero italiano. Ormai nel mondo del calcio si tende a far giocare più elementi “ibridi” davanti, ma non attaccanti e ciò è un dispiacere. Ai miei tempi ogni squadra aveva due attaccanti forti in doppia cifra, ma erano solo ed esclusivamente attaccanti; adesso si tende a mettere centrocampisti davanti, pur di non far giocare punte, così si può difendere meglio. Credo che questo non sia giusto e purtroppo va a discapito di tanti attaccanti che potrebbero far veramente bene».