Venezia, Vanoli: “Il bilancio è più che positivo. Ogni mese saltava un problema, poi abbiamo messo tutto a posto”
Le parole dell'allenatore dei Lagunari
L’allenatore del Venezia Paolo Vanoli, ospite al Talk Show targato TVS, ha parlato a 360° della stagione dei lagunari. Di seguito le sue parole riportate da Tuttoveneziasport:
“Il bilancio è più che positivo. Sarò sincero: quando sono entrato non mi aspettavo tante difficoltà. Ogni mese ne saltava fuori una di nuova. Piano piano, e con l’arrivo del direttore, siamo un pochettino riusciti a far capire qual era la strada per uscire da queste difficoltà. Fortunatamente ci siamo riusciti però con tanto lavoro e tanto sacrificio. Questo è stato un po’ il segreto. Ne approfitto per ringraziare innanzitutto il club che mi ha sempre supportato e sopportato su ogni decisione. Dopo una settimana dal momento che ero qua ho chiesto alla società di farmi un regalo e loro hanno portato un direttore che aveva conoscenza ed esperienza. Ringrazio lui e poi il mio staff che si è messo con dedizione a lavorare ventiquattro ore su ventiquattro. E poi ringrazio tutte le persone che hanno capito le difficoltà e insieme hanno remato nella stessa direzione. Oggi si fanno i complimenti solo all’allenatore, ma dietro c’è un movimento importante. Detto questo, penso che quello che è successo non debba più accadere. Dobbiamo ripartire guardando gli errori che sono stati fatti e non ripeterli. E piano piano costruire qualcosa che faccia diventare fiera questa tifoseria e questa gente che penso che nell’ultimo mese sia stata la spinta più grande. Oltre a essere orgoglioso per il risultato sportivo, lo sono per aver fatto tornare un legame tra squadra e tifoseria. Mi ricordo la prima settimana quando sono venuti i tifosi a parlarmi; gli avevo promesso lavoro e sacrificio e che quando avrebbero visto la mia squadra in campo ne sarebbero potuti uscire fieri e orgogliosi. In questo senso va fatto un grande plauso anche ai giocatori perché hanno capito l’importanza di cosa significhi ritrovare i nostri tifosi”.
Sul Venezia 2023/2024: “Voglio costruire qualcosa, tutto quello che sto facendo, anche se a volte può essere mal interpretato, lo faccio perché voglio lasciare qualcosa per cui chi dovesse arrivare dopo di me in un futuro potrà proseguire in modo sereno. Ho fatto tanta gavetta; fortunatamente ho visto grandissime realtà, soprattutto all’estero, e penso che la forza di un club in prospettiva futura debba diventare più importante di tutto. L’importante è che Paolo Vanoli in qualsiasi modo finisca si possa ringraziare per il lavoro fatto e per quello che ha lasciato. E’ sempre quello che ho detto al mio staff: noi dobbiamo entrare alle otto del mattino e uscire alle otto di sera perché siamo dei grandi professionisti e dobbiamo lasciare qualcosa di costruttivo a questo club”.
Vanoli, la rinascita del club ed il fattore mentale
“Sicuramente è stato un percorso molto difficile. Quando sono entrato c’erano delle difficoltà, poi sono arrivati inizialmente dei risultati che ci hanno un po’ portati a illuderci subito. Io vedevo che erano risultati fittizi: frutto solo del momento; dal cambio dell’allenatore che ha dato la scossa. Infatti, dopo, nelle partite più importanti, abbiamo di nuovo rallentato. Io nella mia vita ho imparato ad avere coraggio e voglio sempre una squadra che abbia un po’ la mia mentalità, che è quella di dare tutto e di lavorare. Io e il direttore ci siamo guardati negli occhi e abbiamo visto che c’era qualcosa da fare. Lo abbiamo fatto sul mercato: quello che ho chiesto al direttore era un giocatore importante che fosse un play e lui mi ha fatto subito il nome di Jajalo. In quel momento era una pedina fondamentale per far crescere tutti i giovani. Noi avevamo un centrocampo veramente giovane. Da li abbiamo iniziato a creare un gruppo, un nuovo lavoro, non senza tante difficoltà. Giocare a calcio come abbiamo fatto noi, creare delle situazioni ed essere in fondo alla classifica, io penso sia la cosa più difficile. Il risultato conta così come i punti.
La settimana più difficile è stata quella in cui in tre giorni ho perso per due brutti infortuni un uomo che per me era una pedina importante come Jajalo e un’altra pedina che avevo preso per rafforzare il gruppo che era Beghetto. Non l’ho detto a nessuno, ma quelli sono stati dei giorni veramente difficili. Vedevo che la squadra stava salendo e avevo paura che potessero avere un contraccolpo psicologico. Penso che il capolavoro sia stato quello di riuscire con il lavoro e credendo nei giovani, dandoli la responsabilità. Scegliere Tessmann in quel ruolo è stata la chiave in questa seconda parte. I ragazzi sono stati bravi a capirlo. Io sono diventato ancora più severo per evitare altri alibi. Perché quando sono entrato la parola che più c’era in questa società era “alibi”. Sono stati veramente bravi. Sono orgoglioso di questi ragazzi perché da quel momento siamo diventati veramente squadra. Abbiamo combattuto e io gli ho sempre detto cosa ci hanno chiesto i tifosi, ovvero di andare in campo e dare tutto per questa maglia: i risultati saranno una conseguenza, ma noi dovremmo dimostrare questo. Per fare questo bisogna lavorare tutti i giorni ancora di più. La domenica è lo specchio della settimana: se non vai forte durante la settimana non puoi andare forte la domenica. E devo dire che nella seconda parte di stagione i ragazzi sono veramente andati forte. Poi devo dire che sto dormendo poco perché la partita con il Cagliari mi ha lasciato un po’ di fastidio. Perché eravamo una squadra in salute. Ci è mancata la gestione della partita contro una squadra esperta. È uscita un po’ la nostra ingenuità, ma vedere poi il secondo tempo che hanno fatto. Ho detto ai ragazzi di uscire a testa alta”.
Il Venezia e il rapporto squadra/tifoseria
“Il tifoso viene allo stadio quando vede che la sua squadra lotta come se fosse il tifoso. Abbiamo costruito una squadra che era molto simile a quello che è il tifoso del Venezia, o meglio, quello che voleva. Io ho detto ai ragazzi: guardate cosa avete fatto. Ogni volta che entrate in campo portate sempre più gente. Guardate queste piccole sfumature. Vuol dire che quello che state facendo è recepito anche da fuori. Ma non era per i risultati; perché nell’ultimo periodo abbiamo avuto degli alti e bassi. La gente, comunque, piano piano ci ha creduto e sostenuto. Io ho vinto un campionato da assistente all’Inter nell’anno del covid. Li ho capito cosa vuol dire un tifoso per una squadra di calcio e per un club: è la vita. Quando la squadra ha capito che il sacrificio durante la settimana portava a questo, si è cominciata anche a divertire.
Forse oggi c’è un problema grosso che nasce dal sociale. Oggi il giovane fatica a capire cosa significhi la parola sacrificio; quando giocavo io eravamo un po’ più portati. Piano piano loro questa parola l’hanno ritrovata. Un’altra cosa che ho sempre detto è che risulta facile dire che dobbiamo vincere. Il problema è sapere come si fa a vincere. Ecco perché parlo di costruite una mentalità: è quello che oggi sto cercando di far passare a tutto il club. Noi non dobbiamo costruire un risultato, ma una mentalità. E questa non passa dall’allenatore o dal giocatore, ma passa attraverso tutte le componenti del club. Con i media, con gli sponsor, con tutto. Io sono un po’ difficile caratterialmente, perché sono molto severo con me stesso in campo e lo pretendo da tutte le persone. Non per essere accontentato, ma perché quando andrò via rimarrà sempre il Venezia. È brutto vedere quello che è successo prima del mio arrivo. Essere senza motivazioni e coesione. Adesso si sta costruendo una bella strada. Che avrà ancora degli alti e bassi, nel quale ci saranno altre grandi difficoltà, perché non si può costruire facilmente un qualcosa di importante. Però questa società ha saputo riconoscere gli sbagli. Mi riferisco al presidente a cui va fatto il plauso più grande. Difficilmente ho visto un presidente chiedere scusa per gli errori fatti. Questo è stato un insegnamento che ho potuto portare dentro allo spogliatoio. Anche al giocatore, che può chiedere scusa. Perché siamo umani. E su questo si è costruito una base. Adesso questa base bisogna arricchirla per fare in modo che questo Venezia diventi sempre più importante e grande”.
Vanoli sui singoli
Joronen rende tutto talmente semplice da far apparire normali le parate decisive. È un grandissimo professionista e a volte sono dovuto andare personalmente a fargli i complimenti perché lui si diceva: mister io ho la parata decisiva. E io gli rispondevo che questo gli doveva far capire quanto fosse forte. Io penso di avere la fortuna di avere il portiere più forte della Serie B, ma penso comunque che possa migliorare tanto. Per diventare più determinante, più uomo squadra e a livello tecnico con i piedi. Lui in porta è il più forte della categoria, ma gli ho già detto che ha tanti margini di crescita. Però anche io leggo i giornali e sono stranito quando a volte gli danno solo sette.
Dalla mia lunga gavetta ho imparato a capire che l’allenatore bravo è quello che fa crescere il capitale della società. Li vuol dire che hai lavorato bene. Penso che questi giocatori abbiano ancora un passo da fare, quello di diventare vincenti. Purtroppo, finché non li provi, finché non insisti e finché non sei severo difficilmente può accadere. Vi svelo un particolare su Svoboda: io ho spiegato sin dal primo giorno alla squadra di non venire mai alla mia porta a bussare per chiedere spiegazioni. Perché tanto l’allenatore sono io e decido io. Un giorno ha avuto il coraggio di venire a bussare alla mia porta perché era arrabbiato del fatto non stesse giocando. Si mette seduto e gli chiedo cosa ci fosse: mi risponde che era arrabbiato. Gli domando se c’era un motivo e lui mi dice che era dovuto al fatto che non giocasse. Io gli ho detto che il motivo era perché l’altro era più bravo di lui e l’ho congedato subito. Lui ci è rimasto male e io ho aggiunto che lui doveva andare a casa e domandarsi: tu sei qui da tre anni, perché la società ha preso Wisniewski, ti ha preso il posto ed è stato venduto in Serie A? Quando ti risponderai a questa domanda, comincerai a giocare e diventerai un ragazzo vincente. Fino ad allora non riuscirai a fare quel salto. Non è una questione tecnica: hai tutto.
Il problema è che a volte questi ragazzi vanno messi di fronte alla realtà. Io non voglio giocatori per il quale il Venezia sia la loro stabilità. Voglio giocatori che pensino e si allenano un giorno per andare a giocare nell’Inter o nel Manchester City o in squadre di questo tipo. Io sono un allenatore ambizioso. Sono qua per portare la squadra al massimo livello che posso. Al direttore ho detto: voglio giocatori ambiziosi. A Svoboda ho detto questo: ti ha portato via il posto e ti sei arreso. Con me non puoi giocare. Il miglioramento di Svoboda parte dalla sua concentrazione. Lui ha fatto parecchie partite bene, ma se tu difensore fai 90′ minuti bene e al novantesimo fai la stupidata non puoi fare il difensore. La concentrazione deriva dal lavoro quotidiano: non puoi allenare la concentrazione la domenica. Lo devi fare facendo il professionista, lo devi fare durante l’allenamento e da quando metti il piede avanti varcando la porta d’ingresso del campo d’allenamento. È li che alleni il minuto, che poi diventano due, tre… finché arrivi a novantacinque minuti. Un difensore deve essere prima di tutto difensore. Noi quest’anno abbiamo preso tanti gol. Non è possibile. È un aspetto che se l’anno prossimo vuoi fare qualcosa di importante devi migliorare”.
Io non voglio giudicare il mister che c’era prima, il carattere o quello che è successo, non so cosa sia successo prima, ma la fatica più grossa che ho fatto è che qualsiasi trasferta in cui andavamo tutti dicevano che il Venezia era una grande squadra, con stipendi alti, costruita per salire in Serie A senza che questo combaciasse con quello che c’era all’interno. Al direttore ho detto basta, parliamo di salvezza. Una squadra si chiama tale perché non è il singolo a fare la differenza. Pohjanpalo non è un caso se prima ha fatto un gol e dopo ne ha fatti diciotto. Lui è un grande professionista e penso abbia capito quello che l’allenatore nuovo stava portando e stava dando. Soprattutto perché quando tu hai un’idea e un’organizzazione feroce della squadra tutti ne agevolano. Poi dopo ci sono le qualità individuali e lui lo ha dimostrato. Poi, per esempio, Dennis Johnsen è un altro giocatore che ha bisogno di bastone e carota perché lui deve capire che ha delle potenzialità ma è la mentalità che serve per essere continuo. A questi ragazzi ho cercato di far capire che se siamo ultimi non siamo bravi; se eravamo bravi eravamo primi. Si vuole rendere il calcio difficile, ma è semplice”.
“Antonio Candela ha sempre lavorato forte e bene. Lui è un profilo da Venezia: è stato preso con delle qualità importanti che vanno lavorate e lui ha fatto tutto questo. Come sempre dico ai ragazzi: si va in campo in undici ma quando poi un ragazzo mi dimostra, il mister lo devo mettere in campo. Dopodiché quello che è difficile è mantenere il posto. È come arrivare primi in classifica: magari arrivare primi è facile ma rimanerci è difficile. Perché gli altri ti considerano più forte, perché vengono con il coltello tra i denti ecc. È la stessa cosa. Dopo la Ternana ho fatto alla squadra questo discorso: bravi, ma ora bisogna avere l’umiltà e il coraggio di dimostrare che quello che è stato fatto a Terni non è un caso ma una continuazione. Se no abbiamo beccato la giornata e non deve essere così. Zampano gli ho fatto capire che nonostante fosse destro, a sinistra rende molto di più. E per le potenzialità che ha, nonostante abbia fatto un ottimo campionato, ha reso meno di quello che penso. Perché anche lui era entrato nel mood del pigro”.