ESCLUSIVA PSB – Hubner: “Brescia? Cellino non si aspettava queste difficoltà”
Pensi a Dario Hubner e pensi ad un calcio che non c’è più, espressione che tanto piace ai nostalgici degli anni d’oro del movimento calcistico italiano. Epoca nella quale primeggiare era difficile, e per farlo bisognava avere “qualcosa in più“. Non parliamo solo di qualità tecniche, bensì di personalità, cattiveria agonistica, voglia di arrivare. Elementi […]
Pensi a Dario Hubner e pensi ad un calcio che non c’è più, espressione che tanto piace ai nostalgici degli anni d’oro del movimento calcistico italiano. Epoca nella quale primeggiare era difficile, e per farlo bisognava avere “qualcosa in più“. Non parliamo solo di qualità tecniche, bensì di personalità, cattiveria agonistica, voglia di arrivare. Elementi che, nessuno escluso, il Bisonte possedeva. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, queste le sue dichiarazioni.
Mentre nelle passate stagioni c’era l’impressione che, in particolar modo nelle zone alte, ci fossero formazioni fuori categoria, espressione che tanto piace, in quest’annata la Serie B è molto combattuta, sia nella zona playoff che nelle posizioni utili per la salvezza. Che idea si è fatto del campionato cadetto?
“Quest’anno sarà combattuto fino alla fine, per ogni obiettivo. Non c’è una squadra schiacciasassi in grado di creare distacco nelle zone alte della classifica. Magari qualche compagine può essere qualitativamente superiore, come il Palermo, ma comunque non abbiamo visto crearsi solchi. Ritengo che si lotterà fino all’ultimo mese per vedere quali compagini riusciranno a centrare i famosi cinque posti per i playoff“.
Una delle squadre a lei sicuramente più care, il Brescia, in questa stagione sta trovando diverse difficoltà che ha portato al ritorno di Boscaglia, precedentemente esonerato per fare spazio a Marino. Quali crede siano le corde che il tecnico dovrà toccare per uscire da questa situazione?
“Boscaglia ha già allenato a Brescia, conosce l’ambiente. Sicuramente ad inizio stagione il presidente Cellino, con l’avvento della sua gestione, riteneva di avere una squadra in grado di fare un buon campionato. Leggevo i giornali sul posto, l’obiettivo era fare una buona stagione per poi puntare alla promozione dalla prossima annata. Purtroppo la rosa non ha reso poi come il presidente si aspettava. La dirigenza è intervenuta sul mercato per ovviare a questo stato di difficoltà, il motivo è da ricercare anche nella componente mentale: quando si parte con certi obiettivi, per poi vedere come le cose vadano male, è dura tornare sulla strada principale“.
Lei è figlio di una generazione di calciatori che hanno reso grande il calcio italiano, epoca nella quale la Serie B era un reale bacino dal quale attingere in ottica Serie A, e lei con i suoi numeri è la più lampante dimostrazione di ciò. Crede che poco a poco la cadetteria stia riacquistando credibilità non solo interna ma anche con riferimento all’intero movimento calcistico italiano?
“La reale differenza sai qual è? Quando giocavo, prima di approdare in Serie A bisognava farsi le ossa in Serie B. La cadetteria era un campionato che ti formava, ti migliorava, ti aiutava a crescere. Dopo 4-5 anni si era pronti per la massima serie. Oggi il salto è troppo breve: vedi calciatori che dalla Serie C fanno una sola stagione in B per poi ritrovarsi catapultati in Serie A. Si perde una fase di crescita. Questo processo ha portato, assieme ad altre motivazioni, a mio avviso, la Serie A a non essere più il campionato di grandi giocatori che era vent’anni fa. Un calciatore deve migliorare, e per fare in modo che ciò accada serve del tempo, ed anche quando ciò accade le proprie qualità non vanno dimostrate per una sola stagione, bensì per un lasso temporale maggiore“.
Una battuta: tra i centravanti attualmente in Serie B, ha visto qualcuno che per movenze o fiuto del gol ricorda Dario Hubner?
“Ogni centravanti fa storia a sé. Ognuno ha le proprie caratteristiche e, a mio avviso, paragonare singoli calciatori non è nemmeno giusto. Un attaccante è una professionista singolo, fa quello che sa fare meglio, con i suoi pregi ed i suoi difetti“.
Crede che il ruolo del centravanti, del classico numero nove, stia andando scomparendo?
“No, anzi, ti dirò che a mio avviso se ne sta riscoprendo la necessità. Guarda le grandi squadre: il Barcellona con Suarez, il Real Madrid con Benzema, il Bayern Monaco con Lewandowski e potremmo continuare. Il centravanti resta un tassello molto importante, quello che è cambiato è l’interpretazione del ruolo: adesso il numero nove deve giocare per la squadra, fare maggiore movimento fuori l’area di rigore, ma è un riferimento che nella squadra è necessario“.
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