ESCLUSIVA PSB – Occhiuzzi: “Cosenza è la mia terra, ma ho vissuto situazioni molto delicate”
L'ex allenatore dei Lupi si racconta ai nostri microfoni
Navigare nella tempesta è una pratica dannatamente complicata per i velisti, che cercano di orientare l’imbarcazione per non permettere all’agitazione delle onde di avere la meglio, rovinando il viaggio e mettendo in pericolo l’incolumità propria e dei passeggeri. Essere al timone, in quei momenti, non consente all’emotività di traboccare, perché il senso di responsabilità verso le persone e il mezzo richiede una lucidità difficile da preservare ma doverosa. Bisogna, dunque, riconoscere meriti e tributare elogi a chi trova nell’amore per il proprio lavoro e nel senso di responsabilità verso la missione affidata le risposte per contrastare la burrasca. Roberto Occhiuzzi ha vissuto qualcosa del genere in quel di Cosenza, dove il cielo inizialmente sereno è diventato poi cupo, nero, incerto, rovinoso. L’esperienza in quel di Olbia dell’ultima stagione ha probabilmente ripulito le tossine con le quali l’allenatore, intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, è stato costretto a convivere. Ciononostante, il bene, anche quando martellato, non svanisce né sbiadisce, come il diretto interessato ha tenuto a precisare.
Mister, è reduce da un’annata in cui ha navigato in acque costantemente tranquille con l’Olbia, valorizzando diversi elementi e conducendo il club verso una salvezza ottenuta senza patemi. È stata la sua prima esperienza in panchina lontano dal Cosenza: che Roberto Occhiuzzi ritroviamo?
“È stata un’esperienza stimolante dal punto di vista delle emozioni. Non conoscevo la città, mi sono buttato dentro la sua storia, per capirne le dinamiche e comprendere cosa significasse la maglia della squadra per la gente del posto. Ci penso e ripenso tante volte, anche nei momenti in cui riguardo video e spezzoni di gara: ho cercato di capire sin da subito dove mi trovassi. A livello emotivo è stato un viaggio intenso, ho fatto mie le sensazioni degli olbiesi, che hanno dentro un forte senso di appartenenza alla propria terra, un tratto che ci accomuna, perché caratterialmente sono fatto così. Mi sono messo nei panni di chi vive la città e quei colori, cercando di far emergere quest’empatia anche in campo. Porterò Olbia nel cuore”.
Il suo nome e la sua carriera, com’è inevitabile che sia, dispiegano un mosaico di eventi e ricordi in quel di Cosenza. Non basterà quest’intervista per analizzare quanto vissuto con lei in panchina, ma ci proveremo: il Cosenza, da marzo a luglio 2020, è stata la miglior squadra d’Europa, come certificato dalla BBC: ventidue punti in dieci giornate, un calcio di rara bellezza ed efficacia, calciatori che hanno solleticato inaspettati picchi di rendimento e la percezione che si potesse aprire un ciclo. Nella stagione successiva l’organico viene rifondato e le cose non vanno come lei in primis avrebbe ragionevolmente desiderato.
“Le due annate, 2019-2020 e 2020-2021, vanno analizzate e legate valutando il percorso tattico. Nella seconda stagione, come sottolineavi, l’organico fu rifondato, cosa che assolutamente non volevo, ma il progetto andò avanti in questa maniera. La squadra, fino alla vittoria contro l’Ascoli del 2 aprile, navigava fuori dalla zona rovente di classifica, poi degli infortuni hanno fatto precipitare le cose, perché a livello numerico eravamo davvero ridotti all’osso. Sotto un aspetto tattico, secondo me, si è continuato sul filone del campionato precedente: è necessario sottolineare come quella della stagione 19/20 fosse una squadra di campioni, che si esprimeva al meglio e riusciva a ribaltare l’azione in modo encomiabile. La rosa aveva tanta tecnica: per me in B la qualità fa la differenza, per quanto il discorso ovviamente tocchi ogni categoria, dato che ad esempio proprio ad Olbia ho avuto il capocannoniere del Girone, ovvero Ragatzu, che è stato messo nelle condizioni di segnare 19 gol ma ha inevitabilmente contribuito con il suo talento. La qualità ha un ruolo eminente nel mio credo, e lo dico anche in virtù del passato da calciatore, dato che in Serie C ero un elemento che, proprio grazie a questa dotazione tecnica, riusciva a determinare le gare, valorizzando al contempo quanto fatto dalla squadra. Tornando al punto toccato nella parte iniziale della risposta, mi dispiace come si riesca a dimenticare in fretta quanto fatto, ma la storia resta e il mio percorso è stato costantemente in crescita. Desidero arrivare nei palcoscenici che sogno e sulle panchine dove vorrei sedermi”.
Arriviamo alle sette partite dell’annata 21/22, cos’è realmente successo? Complicato valutare un possibile percorso in 630 minuti di gioco.
“La risposta è semplice: non mi è stato dato tempo. Sono capitato in un momento dove, secondo me, non ero voluto, e questo ha comportato la mancanza di attesa. Nella vita ognuno si assume le responsabilità delle proprie azioni, ma la situazione che ho trovato era davvero delicata, dove ho cercato il più possibile di mantenere le redini. Ci sono state forti controindicazioni, come i 19 casi COVID: giocare così non è stato semplice. È stata una parentesi dove, ripeto, ritengo non mi sia stato dato tempo, ma è legittimo che ognuno faccia le proprie riflessioni”.
Cos’è, oggi, il Cosenza per Roberto Occhiuzzi?
“È la città del sottoscritto, così come dei mei figli e di mia moglie. Cosenza è la mia terra, è un legame che porto sempre dentro. Lavorare nella propria città non è semplice, perché bisogna saper scindere le emozioni dalla professione, ma la componente più intima pulsa, batte in maniera costante perché, quando tanta gente ti riconosce nelle strade che hai sempre percorso, non puoi avvertire indifferenza. Fa piacere quando si viene apprezzati come persone per bene, un merito che per me è al primo posto, così come è piacevole vedere un elogio per una conquista e una battaglia condotta. Detto ciò, ripeto come non sia stato e non sia comunque facile: la mia famiglia, i miei figli e mia moglie vivono a Cosenza, dove purtroppo bisogna subire anche situazioni molto delicate, che vanno al di là del calcio, ma credo di essere stato bravo a tenerle sottobanco”.
Crede che la piazza abbia pienamente compreso il suo senso di responsabilità e amore verso questi colori oppure avrebbe desiderato un trattamento magari più empatico?
“Sono molto discreto, rispettoso, non ho mai approfittato del fatto di essere cosentino. Quando do tanto non ho dilemmi con la coscienza, ed è ciò che ho fatto. Ritengo che la mia persona sia arrivata a chi ha voluto capirmi, mentre chi non ha cercato di ricevere e captare determinate sensazioni è stato forse guidato da poca simpatia nei confronti del sottoscritto. Essere profeta in patria non è semplice, ma non ho mai preteso encomi scroscianti. Ci sono stati momenti in cui ho provato un dispiacere tangibile: nel corso di quelle sette partite del campionato 21/22 ho avuto contro la mia città e il mio stadio, il posto in cui ho sempre messo anima e cuore. Detto ciò, fa parte del gioco, non ho alcun desiderio di rivalsa, è stata una parentesi che supererò continuando a essere una persona per bene, leale. Non sarò mai rancoroso, alle volte le cose che feriscono fanno emergere ancora di più ciò che sei: c’è chi tenta di farti cambiare, ma è doveroso evitare di snaturarsi”.
La sua permanenza sulla panchina del Cosenza, Unendo le tre stagioni che ha toccato, non è stata caratterizzata da stabilità ambientale e progettuale, dato che ha lavorato con più direttori sportivi e convissuto con dinamiche pesanti da gestire, come diceva. Crede che ciò abbia influito sul suo operato?
“Questo, purtroppo, è un handicap che caratterizza le piazze che non hanno stabilità e che non dà serenità, inficiando dunque la bontà del progetto tecnico tanto per gli allenatori, quanto per i direttori. Ho sempre cercato di essere lo scudo dei miei ragazzi, anche nelle famose dieci partite dei ventidue punti, perché al momento della sconfitta a La Spezia tutti ci davano per retrocessi e il sottoscritto veniva preso per pazzo perché convinto che si potesse fare il miracolo, come poi è effettivamente avvenuto. Se in quel momento non mi fossi assunto le mie responsabilità, tutto forse si sarebbe sgretolato. Bisogna iniettare forza e fiducia nel percorso, dare continuità e credere in ciò che si fa, indipendentemente dalla categoria. Cosenza è una piazza bellissima ma instabile, ha tante insicurezze dovute a un passato in cui ci sono stati anni di gestione fallimentare”.
Ampliamo il discorso: c’è un allenatore che seguirà con particolare interesse nella Serie B che ci apprestiamo a vivere?
“Mi incuriosisce Aquilani, che ho osservato nella Primavera della Fiorentina. A mio avviso è un allenatore valido, attendo di notare come si approccerà a un contesto totalmente diverso. Trasferire i propri concetti ai ‘grandi’ non è la stessa cosa, ma lo seguirò perché la sua Viola mi è davvero piaciuta tanto”.
Al momento è in attesa non di una chiamata, ma della chiamata che rispetti le sue ambizioni e la sua intenzione di lavorare in un ambiente che, ipotizziamo, desidera equilibrato e ambizioso.
“Hai detto bene: non attendo una chiamata, ma la chiamata. Sono stati quattro anni molto intensi, dove credo che Roberto Occhiuzzi sia uscito fuori come allenatore, ma in egual misura ritengo di avere ancora tanto da mettere sul tavolo, sia a livello tecnico-tattico che empatico. Cerco sempre di trovare il pelo nell’uovo quando analizzo le annate precedenti, mi piace portare evoluzioni alle mie idee e ai miei principi di gioco. Desidero, dunque, lavorare con chi si identifica nel modo che ho di lavorare. Ho ampliato il mio bagaglio di vissuto nel mondo del calcio: ho vissuto un altro girone in Serie C, mentre la Serie B già mi conosce. Le mie squadre hanno sempre avuto un’identità forte e precisa, che edificherò anche nella prossima avventura. Non ho avuto né ho fretta nella valutazione delle proposte arrivate, attendo la chiamata giusta”.