Garbato, ma non troppo – Tanti allenatori sanno vincere, pochi possono costruire come Fabio Pecchia
L'allenatore non vuole solo andare in Serie A, ma aprire un ciclo
Era l’estate del 2022, la Cremonese aveva appena festeggiato la promozione diretta in A e l’allenatore Fabio Pecchia decideva di separarsi dai grigiorossi e rigiocare la Serie B col Parma. La scelta a caldo sembrò poco ambiziosa, in seguito alla semifinale playoff persa contro il Cagliari la scorsa stagione persino suicida. Un mister che si era conquistato il massimo campionato sul campo si era negato la chance di disputarlo per non riuscire a tornarci neppure 12 mesi dopo. Oggi, invece, la squadra ducale ha ottenuto 20 punti in 8 giornate ed è prima a +4 sul Palermo, mentre la Cremonese è nuovamente in cadetteria e a quota 10 e Massimiliano Alvini, che lo sostituì alla guida del club lombardo, naviga nei bassifondi dello stesso torneo con lo Spezia a 5 e la sua panchina traballa. In Italia la lungimiranza non esiste. Spesso da parte degli addetti ai lavori, ma frequentemente anche da parte di proprietà e tesserati.
Il successo, combattuto e sofferto, nell’ultimo turno contro la Cremo ha segnato un ulteriore spartiacque nella travolgente stagione dei Crociati. La squadra ha consapevolezza non soltanto della propria forza, ma anche della profondità delle risorse umane di cui dispone. La mentalità in questo avvio sta facendo la differenza tanto quanto la preparazione tattica e le doti tecniche. Una mentalità strutturata che non si costruisce in un mese e neppure in 38 partite, ma richiede tempo, scelte e fiducia da parte della società nei confronti dell’allenatore. Pecchia ha vinto al secondo anno anche a Cremona dopo aver posto basi solide nel primo e aver avuto voce in capitolo su ogni scelta e la storia si sta ripetendo. Se però i grigiorossi non erano davvero strutturati per i vertici del calcio italiano, il Parma ha una proprietà facoltosa e fortemente ambiziosa che ha velleità di aprire un ciclo. Sono infatti tantissimi i calciatori di proprietà e i colpi in prospettiva effettuati.
La sensazione che si ha osservando la compagine ducale è che ogni calciatore sia schierato per un preciso motivo, sostituito per una specifica ragione e valorizzato al di là delle proprie caratteristiche. Simon Sohm e Adrian Bernabé possono alzarsi e abbassarsi a centrocampo senza alcuna difficoltà. Nicolò Fagioli e Gianluca Gaetano, prima di loro, ne hanno tratto enorme beneficio per la propria carriera. Adryan Benedyczak, quasi sempre allargato a sinistra, gode degli spazi adatti per mettere in mostra doti di inserimento che da centravanti difficilmente avrebbero potuto emergere. Il giovane Ange-Yoan Bonny ha fatto invece il percorso inverso, sfruttando la propria rapidità per attaccare la linea difensiva e la spiccata fisicità per proteggere palla.
Ogni elemento della rosa interpreta gli stessi ruoli con peculiarità differenti e riceve di conseguenza compiti simili ma tutt’altro che identici, così da non snaturarsi. Per un percorso simile è necessario conoscere approfonditamente ogni ragazzo, così da poter decidere su chi puntare e trasmettere a ognuno di essi idee chiare da trasferire ai nuovi acquisti ingaggiati per elevare ulteriormente il livello dell’organico. Il metodo Fabio Pecchia sta pagando, ancora una volta, e in Italia costituisce quasi un unicum. Non è comune trovare allenatori consapevoli in grado di scegliere i progetti più idonei alle proprie esigenze. Una parabola limpida e difficilmente criticabile, che evita di snaturare le squadre e al tempo stesso di dover fare compromessi sulle idee in cui si crede. Calcio come dovrebbe essere concepito, ma che nel concreto non si vede quasi mai.