ESCLUSIVA PSB – Zanelli sul Brescia: “Tanti aspetti andrebbero cambiati. Cellino? Sarà difficile vedere miglioramenti”
Un passato da firma del Corriere della Sera e del Giornale di Brescia, esperienze in realtà di respiro internazionale come OneFootball e 433, un presente da perno de “La Fiera del Calcio“, podcast e canale Twitch che raccoglie intenzioni editoriali volte ad analizzare il calcio rispettandone i valori, sollevandone gli innumerevoli temi e onorandone l’importanza […]
Un passato da firma del Corriere della Sera e del Giornale di Brescia, esperienze in realtà di respiro internazionale come OneFootball e 433, un presente da perno de “La Fiera del Calcio“, podcast e canale Twitch che raccoglie intenzioni editoriali volte ad analizzare il calcio rispettandone i valori, sollevandone gli innumerevoli temi e onorandone l’importanza lato sensu. Davide Zanelli, giornalista bresciano che con le Rondinelle non ha mai perso contatto, è intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni.
Secondo Eduardo Galeano “il calcio è l’unica religione che non conosce atei”. Quella sportiva è una radicata declinazione di fede, con una differenza: la delusione. La tipica definizione ecclesiale di fede porta ad avere sempre speranza e positività verso l’oggi e il domani, ed ecco la domanda: è stato possibile in questi anni, da tifoso del Brescia, essere felice e soddisfatto?
“Capisco il messaggio, sinceramente credo di no ma questa è una componente che riguarda in maniera più estesa i tifosi delle squadre abituate a navigare tra l’ambizione della promozione e la speranza di una salvezza. Il tutto, ovviamente, con varie declinazioni, che nel caso del Brescia possono dipendere dalla storia, dagli albori, in una sorta di capitolo nostalgico di una storia che si è consapevoli non si ripeterà. Detto ciò, ritengo si tratti di una condizione abbastanza diffusa, complice il modo in cui viene gestito il calcio italiano, con le scarse possibilità che ci sono e il modo che hanno alcuni presidenti di fare calcio. Non penso, ad ogni modo, che i tifosi del Brescia negli ultimi anni non abbiano collezionato esperienze da ricordare, ma è inevitabile sottolineare come ci siano state delle peculiarità: prima dell’inizio della fase Cellino c’è stato il passaggio che ha coinvolto le banche, per poi arrivare alle retrocessioni e ai ripescaggi. Una sommatoria di condizioni precaria che non ti permettono di vivere con felicità il calcio. Aggiungo un ulteriore capoverso: sembrerà paradossale, ma queste difficoltà potrebbero aver in un certo senso alimentato la passione, perché solidificano il legame verso un’entità che ami e per la quale desidereresti un trattamento diverso”.
Hai seguito e vissuto da vicino l’epoca Corioni, senza dubbio la più intensa nella storia del club. Siamo giunti al sesto anno della presidenza di Cellino: com’è cambiata la percezione che si ha dall’esterno del Brescia?
“Nell’epoca Corioni, che è stata davvero lunghissima, coesistono momenti caratterizzati dai vari Hagi, Baggio, Guardiola, proliferazione di talento seguita poi dall’emersione dei debiti che hanno portato Corioni a faticare e a ricevere innumerevoli critiche, come certificato da un coro in dialetto bresciano con il quale veniva insultato verso l’epilogo della sua gestione. Le difficoltà presentata dal successivo corso degli eventi hanno portato poi a rivalutare determinate scelte, facendo tra l’altro pace nel momento in cui è venuto a mancare il presidente, membro di quella scuola di uomini di calcio con intuizioni tali da riconoscere un giocatore di qualità. Un tratto, quest’ultimo, che probabilmente accomuna Corioni a Cellino, mentre al giorno d’oggi è in atto la tendenza ad affidarsi a determinati direttori sportivi, ma sottolineo al contempo che anche durante le due gestioni appena menzionate non sono mancati bravissimi DS. Ho vissuto da giornalista la stagione del ritorno in A del Brescia, e a mio avviso erano percepibili in maniera abbastanza oggettiva i problemi della gestione e le difficoltà societarie, ma ciò veniva messo in secondo piano sia dai tifosi che dalla stampa, complici i risultati. Bisognava fare tanto a livello di comunicazione, tanto dipendeva dall’ingerenza forse eccessiva da parte del presidente in determinati ambiti, ma tutto veniva in un certo senso insabbiato dalle giocate di elementi come Donnarumma, Torregrossa e Tonali. In merito alle intuizioni di cui si parlava, un esempio concreto è Cistana, un giocatore che veniva mandato in prestito in D prima dell’arrivo di Cellino, cui vanno dunque riconosciute queste capacità. Quello che è mancato a mio avviso al Brescia, così come a tantissime società di Serie B, è stato il passo verso la modernità: ciò stride con la storia della città, che è molto aperta all’innovazione. Basti pensare a quanto è stato fatto nel basket, scomparso per diversi anni nonostante la grande tradizione. Oggi la Germani Brescia è un riferimento sportivo per il territorio, grazie a un palazzetto nuovo e un modo di fare mercato fresco, moderno, in grado di portare la realtà a uno status di caratura nazionale. Non voglio arrivare a fare parallelismi con iperboliche proiezioni del Brescia, ma a me stranisce pensare che ci sia una simile struttura per il basket e uno stadio decrepito come il Rigamonti, anche se qualche piccolo slancio c’è stato, come ad esempio con la creazione di un centro sportivo, pensato per la credibilità del club e un certo tipo di ritorno per il presidente”.
Dove bisognerebbe intervenire con più urgenza in termini gestionali o sportivi per dare alla piazza la mescolanza tra ambizione e serenità che il motore di un club, ovvero la sua gente, merita?
“Secondo me sono davvero tanti gli aspetti che andrebbero cambiati. Sono arrivato a pensare che sotto l’attuale gestione sarà difficile vedere dei miglioramenti, in quanto tutto è interamente declinato in base alle decisioni di una sola persona, che tra l’altro nel tempo ha avuto diversi problemi extra-calcio nel tempo. Il Brescia, a mio avviso, avrebbe bisogno di un progetto tale da rispecchiare la laboriosità della realtà, ovvero una città relativamente molto ricca rispetto alla media italiana. Mi viene da dire una cosa quasi banale: il Brescia dovrebbe fare l’Atalanta, che non vuol dire andare costantemente in Europa, dato che la Dea oramai rappresenta un momento difficilmente replicabile, per la presenza di calciatori settati su un determinato livello di talento e di un bravo allenatore come Gasperini, così come per anni di un direttore tecnico incredibile come Sartori e di un settore giovanile molto ben strutturato da tempo. Ritengo che le Rondinelle dovrebbero ripartire dalla valorizzazione del talento locale, che resta molto presente, come certificato dagli innumerevoli calciatori bresciani che negli anni hanno fatto bene ma che non sono nemmeno transitati per il settore giovanile biancazzurro. Questo deve far pensare come la base di partenza del territorio sia sempre qualitativa. Un discorso, quello sui punti dove intervenire, che deve riguardare anche la comunicazione, abbastanza sottovalutata a Brescia. Non mancano casi singoli da evidenziare: Bisoli è uno dei pochissimi reduci dall’ultima esperienza in Serie A, oppure Cistana, un calciatore a mio avviso da ottima A, se non fosse per i problemi fisici patiti e delle ginocchia poco affidabili. Questo genere di figura, ovvero elementi talentuosi caratterizzati da attaccamento alla maglia, avrebbero dovuto essere meglio valorizzati in termini di comunicazione. Il discorso dunque arriva a interrogarsi sul come gestire una società nell’era moderna e, nella fattispecie, come rendere sostenibile un club di Serie B: un discorso infinito”.
Conclusione con il grande rischio di essere banale: con il tuo gruppo di lavoro della Fiera del Calcio analizzate in profondità e ampiezza tutto il calcio. In questa narrazione, dove credi possano inserirsi le nuove leve della cadetteria? Mi spiego meglio: ci sono diverse seconde divisioni, probabilmente soprattutto la Ligue 2, dove le gemme proliferano. Che opinione hai, su questo tema, con riferimento alla nostra Serie B?
“Il tema è molto legato a un discorso di scouting. Ci sono società in Italia che sono prese come esempio sotto quest’aspetto, ma comunque non possono competere con società che, ad esempio in Bundesliga, navigano nelle stesse zone di classifica. Il problema è una mescolanza tra la questione economica e, probabilmente, quella culturale, perché qui c’è l’abitudine di fare le cose per l’appunto all’italiana, mettendo toppe dove capita e non operando con raziocinio. Ad ogni modo, ritengo che la questione sia principalmente economica, perché bisognerebbe mettere i club nelle condizioni di valorizzare i propri talenti, pur tenendo comunque in considerazione le intenzioni di determinate compagini, come nel caso proprio del Brescia negli ultimi anni, che ha deciso di affidarsi a procuratori che hanno portato assistiti Under 23 dal mercato scandinavo e dall’est Europa. Tanti in Italia, salvo rari casi, non hanno lavorato bene e sono molto indietro nell’organizzazione dei dipartimenti scouting. Torno sulle Rondinelle: ci sono state troppe situazioni sulle quali bisognerebbe ragionare in profondità. Quanti dipendenti del Brescia hanno avuto modo di impostare il proprio lavoro nel medio-lungo termine, indipendentemente da bravura e preparazione? Quasi nessuno, dunque come si può pensare di valutare il responsabile di un settore giovanile senza permettergli di gestirlo per più anni? Ci sono delle eccezioni, ma il Tonali di turno non può essere l’esempio di una Serie B che funziona e che propone talenti, bensì di un presidente che sa avere intuizioni e che sa farsi sentire con i propri allenatori quando bisogna dar spazio a queste risorse. Parliamo, dunque, di situazioni estemporanee. Estendendo in discorso, in Serie B siamo fermi a letture di direttori sportivi illuminati che cercano di fare le nozze coi fichi secchi quando riescono”.