ESCLUSIVA PSB – Baiocco: “Mi aspettavo questo Brescia. Nessuno mette in conto che su 10 squadre costruite per vincere salgono solo in 3”
Le parole di Baiocco in esclusiva ai microfoni di PSB
La storia di Davide Baiocco, da calciatore in divisa a politico in giacca e cravatta, ma sempre con gli scarpini sotto il vestito. Ex centrocampista di Brescia, Catania, Cremonese e Juventus tra le altre, Baiocco è uno di quelli che che ha capito più di tutti che i principi che il calcio ti insegna e ti regala, li porti con te nella vita di ogni giorno. Un concetto ampio, uno sport maestro di vita, e non è un caso se il calcio viene etichettato esattamente così. Abbiamo avuto il piacere di parlare con Davide Baiocco, una chiacchierata di campo e non solo.
Chi è Davide Baiocco oggi? Come si matura una scelta come quella di entrare in politica? Di sicuro insuale per un ex calciatore
“Effettivamente entrare in politica alle volte è visto male. Dall’esterno molto spesso vedi un muro e ti fai delle domande, perché non si fanno le cose in questo modo? Perché non si sviluppano in questa maniera? Posso dire che quando hai a che fare, come nel mio caso, con un comune come Perugia devi capire che è una bella cosa, ma anche una grande responsabilità. Questo significa politica: responsabilità nei confronti della tua comunità. Non è usuale far sentire la tua voce, ma è una delle cose a cui l’umano aspira. I due bisogni fondamentali risolti quelli primari sono crescita e contribuzione. Non è un caso se il calcio viene definito come maestro di vita. I concetti e i principi di uno spogliatoio o di una società li riporti in tanti ambiti. Nella gestione di un gruppo squadra o di un gruppo di amici, la leadership, la resilienza e la costanza che vivi in campo fa parte della vita. Concetti dello sport che ti formano e ti rimangono. Nella mia carriera ho avuto la fortuna e la possibilità di interfacciarmi con la famiglia Agnelli, Pulvirenti, Arvedi, Gauzzi, sono cose che ti danno un bagaglio di esperienza che è difficile sviluppare in altri posti. Secondo me è tutto collegato e ti dà una spinta in più, è l’esperienza del vissuto”.
Quando hai smesso di giocare hai quasi tagliato i rapporti con il calcio. Ma quanto è difficile allontanarsi da una parte così importante della tua vita?
“Sei anni fa, quando ho smesso di giocare a calcio, ho iniziato un percorso. Credo sia venuto fuori, forte, il fatto che il sistema non mi piaceva. Avevo iniziato un percorso di azienda e personale che mi ha portato ad allontanarmi dal mondo del calcio. Ma alla fine quando ami qualcosa così tanto va a finire che ci ritorni, e io sono tornato da quello che è un pezzo di me. Sogno di diventare allenatore? Mi piacerebbe essere uno che accende la scintilla nelle persone che ha di fronte. Non è solo un fattore di campo. Sogno un accademia di sviluppo del potenziale umano, farlo in gruppo squadra o singolarmente. Faccio un parallelismo, in quanti studiano alla Bocconi o alla Sapienza? Perché sanno che ti danno qualcosa in più. Sono centri che preparano diversamente e quindi ti attraggono. Ecco il mio sogno è creare nel calcio qualcosa di questo genere, in grado di accendere la fiammella”.
Nel campionato attuale di Serie B, il Parma è effettivamente troppo più forte? Chi vedi meglio dietro?
“Sì il Parma sicuramente sta facendo un campionato da squadra molto forte. Vero che ci sono ancora tante partite e 21 punti in palio non sono pochi ma credo che il Parma sia li con merito e con ragione. Le altre in lotta, almeno 5 hanno tutte un valore importante. Il Catanzaro l’ho visto in C e ha principi e concetti interessanti, ma poi non limitiamoci. La B è bella perché imprevedibile, è una lotta bellissima e anzi, secondo me c’è chance ancora dal Cosenza fino al Brescia che ricopre l’ultimo posto playoff”.
Proprio il tuo Brescia, da rischiare di non giocare il campionato a giocarsi i playoff. Sorpresa o te l’aspettavi?
Un po’ me lo aspettavo devo essere onesto. Ho tanti amici che vanno in Curva, conosco bene il potenziale della piazza. Che poi è meravigliosa ma è solo una componente, un fattore di un insieme più ampio. C’è stato un lavoro buono di tutto lo staff e poi il valore aggiunto di un ambiente che non enfatizza il problema ma sta vicino a squadra e società anche quando le cose non vanno benissimo. E questa è una caratteristica importante che i tifosi secondo me hanno capito nel tempo. Mi è successo anche a Catania, quando sei abituato a vedere tutto filare liscio capita che tu dia per scontate certe cose, ma non è mai così. Nei momenti di difficoltà impari e ti accorgi che essere positivo è più utile che essere disfattista”.
La Cremonese ha sbagliato le ultime due partite ma resta una delle favorite. Sei d’accordo?
“Io conosco la famiglia Arvedi e so come vogliono fare le cose, sia dal lato imprenditoriale che nel calcio. Il centro sportivo che hanno fatto, la ristrutturazione dello Zini, il lavoro con il settore giovanile e la voglia di far crescere l’azienda Cremonese. Lavorano esattamente come deve fare un’azienda calcistica e i risultati non sono casuali. Ha tutte le carte in regola per giocarsi ancora la promozione diretta. E’ vero le ultime due sconfitte sono state pesanti, ma giocare in casa del Sudtirol non è facile, mentre contro la Feralpisalò è stato inaspettato. Per quanto è lungo ancora il campionato dico che è tutto aperto”.
Lotta alla salvezza, sei stato allenato da D’Angelo, come vedi il suo Spezia?
“Posso dire che D’Angelo allenatore, forse non lo si vede tanto, ma è uno sanguigno sì ma anche molto attento alle relazioni. In questo è fortissimo e non è un fattore da sottovalutare. Non si può solo pensare al campo. Lui è in grado di tenere unito lo spogliatoio, di farti sentire importante, quel mix di qualità che servono ad un allenatore moderno. Lo dico perché secondo me oggi fare l’allenatore è molto più difficile. Un tempo bastava curarsi del campo perché i giocatori erano più pronti. Oggi ci vogliono competenze maggiori anche in ambito umanistico e D’Angelo è un buon mix di tutto”.
A Bari è successo di tutto, 3 allenatori in stagione dopo il quasi miracolo dell’anno scorso. Due di questi 3 allenatori, Iachini e Marino li hai avuti in carriera, come spieghi questo rendimento?
“Posso dire che tanto dipende dalle aspettative. Perché Iachini era visto come colui che avrebbe dovuto risollevare il Bari? Per la sua carriera? Sì è una motivazione ma non può funzionare solo così. Io credo sempre che chi porta avanti un progetto tecnico al di là del puro risultato vince lo stesso. Non parliamo di subbuteo o di fantacalcio, se non c’è il giusto equilibrio i risultati non si raggiungono. L’idea è stata oggi prendo Iachini, gli prendo 4 giocatori bravi ma che magari non interagiscono bene tra di loro. Faccio l’esempio su di me, se qualcuno anni fa avesse pensato: ” Prendo Baiocco perché ha 200 presenze in Serie A” avrebbe sbagliato. L’esperienza vale ma fino ad un certo punto. A Bari mi sembra si stia facendo questo, la fretta del risultato ha complicato il progetto. Diciamoci la verità, se sei arrivato ad un soffio dalla Serie A vuol dire che hai lavorato bene, e da lì implementi con quello che ti è mancato, limando i dettagli. E poi nessuno mette in preventivo che 10 squadre sono costruite per vincere ma ci riescono solo in 3 e le altre restano giù. E’ per questo che i progetti durano anni, ma devono essere portati avanti con pazienza anche attraverso qualche errore”.