Pellissier: “Mi davano del traditore, ma ho fatto rinascere il Chievo! Campedelli lo fece fallire, ingiusto tornasse a lui”
Tutta la verità dell'iconico ex capitano, e nuovo numero uno, dei gialloblù
Intervenuto ai microfoni di Calciomercato.com, Sergio Pellissier ha raccontato tutti i retroscena relativi alla scelta dello stesso ex attaccante di rilevare il marchio del ChievoVerona, dichiarato tristemente fallito al termine della stagione di Serie B 2021-2022.
“Questo per me è un risultato fantastico. Abbiamo soddisfatto la richiesta che mi avevano fatto tanti tifosi quando il Chievo era fallito“.
Dopo l’ufficialità dell’acquisizione del club hai esultato come un tifoso.
“Sono sempre stato un tifoso del Chievo, è normale portare avanti i proprio sogni e ideali. Io e altri eravamo stati definiti dei ‘traditori’, subendo attacchi gratuiti da chi poi ha mollato nel momento di difficoltà”.
Cosa ti hanno detto i tifosi che ti hanno abbracciato dopo aver ripreso il vecchio stemma del Chievo?
“C’era chi mi ringraziava, chi rideva e altri che piangevano dalla commozione. Quel marchio per loro è un pezzo di vita, e la cosa più bella è che chiunque può far parte del progetto. Il traguardo lo abbiamo raggiunto tutti insieme”.
Un azionato popolare?
“Proprio così, gran parte delle persone che ci hanno seguito oggi sono diventati soci; io da solo non avrei potuto fare nulla”.
Spiegaci.
“Con una spesa minima di 250 euro si comprava una quota, e chi l’ha fatto è diventato, in parte, proprietario del marchio”.
Qual è stata la cosa che ti ha fatto più male?
“Ce ne sono tante, ma la peggiore è stata darmi del traditore. Io non ho mai tradito, sono sempre rimasto dall’inizio alla fine perdendo anche molti soldi; perché ho preso meno di quanto mi spettava. Credo di aver fatto tanto per quella società e per il presidente Campedelli”.
Perché sei stato definito un traditore?
“Perché qualcuno ha messo in giro le voci secondo le quali noi abbiamo preferito fondare una società nuova anziché lottare per il Chievo, che volevamo rubare i tifosi…”.
Cosa succede ora con la Clivense, club che avevi fondato ripartendo dalla Terza Categoria?
“Cambierà solo nome e marchio, si chiamerà Chievo e avrà il vecchio stemma. Siamo stati costretti a chiamarlo Clivense perché qualcuno ci aveva diffidato dall’usare il nome originale, ma ora che abbiamo sistemato tutto torniamo a essere il Chievo”.
Com’è nata l’idea di far rinascere il Chievo?
“Quando la società è fallita i tifosi mi hanno chiesto di dare una mano, l’unica cosa che mi è venuta in mente è stata ripartire da zero”.
Il nuovo inizio però non è stato granché: quando nel 2021 hai cercato imprenditori per affiancarti nella missione di iscrivere il Chievo in Serie D non hai trovato appoggi.
“Avevamo una settimana di tempo per raccogliere 500mila euro sotto Ferragosto e dovevamo fare anche al squadra, era un’impresa complicata e infatti non siamo riusciti a iscriverci. Così siamo ripartiti dalla Terza Categoria”.
Da lì è partita la scalata.
“In tre anni siamo arrivati in Serie D, grazie alle promozioni sul campo e avendo acquisito il titolo di una società retrocessa in Eccellenza”.
Quest’anno avete chiuso il campionato di Serie D, ma qual è l’obiettivo del nuovo Chievo?
“Gli obiettivi non cambieranno mai, il nostro è quello di costruire una società solida e ambiziosa. Sperando di tornare presto in Serie A”.
Nell’acquisto del marchio Chievo hai superato l’ex presidente Campedelli all’asta.
“Non ci siamo mai più visti e sentiti, e per me non sarebbe stato giusto che quel marchio tornasse nelle mani di chi l’ha fatto fallire. Dopo tre anni di silenzi per me non avrebbe dovuto proprio partecipare all’asta, non è mai successo che chi fa fallire una società poi prova a riprendere lo stemma. Però voglio precisare una cosa”.
Prego.
“Non ho fatto tutto questo per andare contro Campedelli, ma solo per chi nel momento del fallimento ha perso una parte di cuore”.
Quanto ti è costato l’acquisto del marchio?
“400mila euro”.
Che ricordi hai del vecchio Chievo?
“Il più bello è stato quando ho sollevato la coppa in Serie B l’anno del ritorno immediato in A. Da capitano è stata una sensazione fantastica, perché abbiamo dato l’impressione di non essere una favola ma qualcosa di concreto”.