Garbato, ma non troppo – Un esonero non determina una carriera: Vivarini è eccezionale, Stirpe e Angelozzi altrettanto
Una prospettiva differente e necessaria
Vincenzo Vivarini a Frosinone non ha fatto male, ha fatto malissimo. Chiunque neghi questo presupposto cercando di sovvertire la realtà non migliora la reputazione dell’allenatore, ma rifiuta di accettare gli eventi. Da qui a sminuire, ridimensionare o ricontestualizzare la carriera di un tecnico preparatissimo che ha mostrato in tante piazze e tante esperienze diverse la bontà del suo lavoro, però, ce n’è di strada. Veniva da due anni splendidi a Catanzaro in cui grazie a un’identità molto chiara, offensiva ed evoluta una squadra con limiti evidenti ha saputo prima dominare in Serie C e poi sfiorare l’impresa della doppia promozione arrendendosi soltanto in semifinale playoff.
Bastassero 9 sciagurate partite per cancellare tutto questo non parleremmo di calcio, ma di una sorta di cervellotico Squid Game. Il recentismo è il male della narrazione dello sport e va messo da parte. Allenare è un fatto umano e da tale va trattato. Vivarini legittimamente voleva suggellare lo splendido biennio vissuto con un’esperienza a un livello più alto. Ha cercato ed è stato cercato dalla Serie A, non ha trovato gli incastri giusti anche poiché la dirigenza giallorossa non l’ha liberato facilmente. Ha perso molti treni e si è ritrovato come unica grande chance la panchina di una retrocessa che ha sempre fatto di programmazione, idee e qualità il proprio marchio di fabbrica. Accettare era inevitabile.
Per una serie di fattori, tuttavia, ha guidato una rosa molto diversa da quella che avrebbe potuto immaginare. Meno talentuosa, meno pronta a seguire i suoi concetti, meno amalgamata, meno adatta a uno spartito preciso. In soldoni, un gigantesco puzzle da assemblare. Non esattamente il punto da cui voleva ripartire. In questa nefasta avventura l’aspetto mentale è stato cruciale: il linguaggio del corpo nelle ultime settimane era persino plateale nella sua negatività, la permanenza in panchina sembrava più una condanna che uno stimolo. Come un calciatore può compiere scelte di carriera sbagliate in cui non ha gli input giusti per esprimersi a pieno, così può accadere a chi allena. Capirlo è un primo passo per comprendere meglio questa figura, che nel 2024 non ha gli stessi compiti e le stesse caratteristiche anche soltanto di 20 anni fa.
Maurizio Stirpe e Guido Angelozzi hanno molte responsabilità per la situazione che si è venuta a creare, ma nessuno a Frosinone o a qualsiasi altra latitudine può rivolgere loro alcuna critica distruttiva. Il presidente è stato chiaro in conferenza stampa: “Angelozzi merita una statua” e io aggiungo che Stirpe meriterebbe uno stadio intero. Il presidente, però, stavolta ha sottovalutato enormemente il livello della Serie B. Com’è logico che sia e com’è già successo in passato non ha minimamente valutato di riallestire subito una rosa da promozione diretta: i costi dopo una retrocessione sono notevoli e ulteriori investimenti se poi non si traducono in risultati garantiscono il tracollo economico. Principio corretto, ma estremizzato. Il budget affidato al direttore era davvero troppo risicato per puntare a qualcosa di diverso da una salvezza poco pretenziosa.
Fidarsi delle intuizioni di un uomo come Angelozzi che ha fatto e sta facendo tuttora la fortuna del club è sacrosanto, ma il calcio non è sciamanesimo. Ci sono stagioni in cui è più facile arrivare a profili interessanti anche col portafoglio scarico e altre in cui qualsiasi calciatore individuato è conteso e abbagliato da offerte reputate più gratificanti. Sulla campagna acquisti le colpe del direttore esistono ma non sono clamorose quanto un ragionamento di pancia suggerirebbe, sulla gestione dei calciatori già presenti in organico invece il discorso è diverso e più grave. Garritano, Canotto e Caso: tenuti con scarsa convinzione i primi due (reintegrato da poco l’attaccante che inizialmente era fuori rosa), ceduto e dileggiato in una conferenza stampa che si è rivelata un boomerang l’ultimo. La smania di ricostruire non ha fatto i conti con l’impossibilità a riuscirci davvero, dando vita a un ibrido scarsamente motivato e difficilissimo da gestire.
Maurizio Stirpe, Guido Angelozzi e Vincenzo Vivarini restano tre grandissimi della Serie B, da cui il calcio italiano può solo imparare. Non basta un’annata maledetta per cambiare idea, non basterebbe una retrocessione in Serie C dei ciociari o una parabola discendente da qui in avanti di mister e dirigente. Ciò che hanno dato a questo sport in Italia va messo sul piatto con la giusta serietà e apprezzato per il suo inconfutabile valore. Teniamoci strette tre icone della cadetteria, al di là della giustificata rabbia dei tifosi e contro l’insensata voglia di emettere sentenze da parte di una stampa che sembra nata ieri per le ristrette basi su cui giudica, ma purtroppo è invece vecchia come il mondo.