Emergenza Corona Virus, Paolillo: “Il rischio è che ci sia un forte ridimensionamento. Il calcio potrebbe diventare superfluo per la gente”
EMERGENZA CORONA VIRUS PAOLILLO – Ernesto Paolillo, tra i padri del fair play finanziario oltre che ex amministratore delegato e direttore generale dell’Inter, ha rilasciato un’interessante intervista sulle colonne de Il Corriere dello Sport in cui ha analizzato l’attuale situazione di stallo in cui è riversato il mondo del calcio, dettata dall’emergenza Corona Virus, soffermandosi […]
EMERGENZA CORONA VIRUS PAOLILLO – Ernesto Paolillo, tra i padri del fair play finanziario oltre che ex amministratore delegato e direttore generale dell’Inter, ha rilasciato un’interessante intervista sulle colonne de Il Corriere dello Sport in cui ha analizzato l’attuale situazione di stallo in cui è riversato il mondo del calcio, dettata dall’emergenza Corona Virus, soffermandosi sugli effetti che ne deriveranno ed andando a fornire una completa panoramica di come il sistema dovrà reagire in termini economico-finanziari alla pandemia.
«Abbiamo vissuto un grande gioco dell’oca, siamo ritornati alla casella di partenza e si ricomincia. Ma la plancia è cambiata e non sappiamo che cosa contengano le nuove caselle».
«Almeno per un paio d’anni ci sarà una maggiore attenzione non solo ai costi ma anche all’organizzazione delle squadre e degli staff , al numero di dipendenti e quant’altro. Le ricadute sui ricavi da sponsor e sui diritti televisivi saranno inevitabili. Sarà ridotta anche la capacità di spesa delle aziende che orbitano intorno allo sport».
«Di quanto si ridimensionerà il valore del movimento? Ragionevolmente del 20-30%. Per il primo biennio. Poi si vedrà».
«Taglio stipendi? Anche da un punto di vista etico e morale si deve arrivare a un accordo. I calciatori di alto livello restano privilegiati, con stipendi nemmeno paragonabili a quelli della grande maggioranza dei lavoratori. Che questa categoria non capisca di dover dare un contributo è abbastanza assurdo. Possiamo discutere sul quanto, sulla percentuale. Però nella discussione manca o è in secondo piano un punto basilare. Che i calciatori rinuncino a qualcosa per aiutare la propria società d’accordo. Ma una parte del contributo deve andare a favore delle categorie meno privilegiate. Chi non rischia di restare senza lavoro dovrebbe pensare a chi in questo momento non ha i soldi da portare a casa».
«Manca un organismo centrale che trovi una soluzione quadro e la cali dall’alto. Esiste il sindacato mondiale dei calciatori, ci sono l’Uefa e la Fifa: quello è il tavolo su cui discutere. Oppure gli organismi mondiali parlino con quelli nazionali, anche con le singole leghe. Se aspettiamo le iniziative dei club troveremo sempre chi è sensibile e chi meno, chi ha buon senso e chi no».
«Conosco e apprezzo il presidente dell’Assocalciatori, Damiano Tommasi. Mi stupisce quest’dea di procedere in ordine sparso. Serve un accordo equo per tutti, che comprenda, ripeto, anche la solidarietà per le categorie inferiori. Scaglioni di sacrifi cio, calcolati a seconda dello stipendio. Partendo per esempio da quella base del 30% di cui parlavamo prima e andando a scendere verso le categorie inferiori. Un taglio per i campioni che vada a formare un fondo di solidarietà è più credibile di uno che vada a esclusivo vantaggio dei club di appartenenza dei giocatori maggiori».
«Io credo nella ragione e nella sensibilità. Tra i calciatori ne abbiamo molti esempi. Vero che gli atleti guadagnano fino ai quarant’anni scarsi. Ma questa è un’emergenza eccezionale. Tutti devono capire che anche gli sponsor e le aziende televisive verranno a patti con i propri conti economici. E saranno portati a spendere meno. I partner dei singoli calciatori arriveranno a imporre sacrifi ci ai propri testimonial».
«Maggiori danni per le società italiane? No, ci ritroveremo con problemi di livello europeo. Il che è ancora più grave: saranno sacrifici per tutti. E, appunto: sarà peggio, direi traumatico, per le categorie inferiori. L’industria del calcio non è differente, se non nel prodotto finito, dall’industria tradizionale. Le medie e piccole aziende riceveranno più danni e lo stesso varrà per la Lega Dilettanti, la Lega Pro e la Lega di Serie B. Il che non significa, naturalmente, che la Serie A rimarrà indenne».
«Rischio tracollo? Un forte ridimensionamento. Gli organismi politici europei e la Banca Centrale con un meccanismo o l’altro intervengono a sostenere le imprese. Il calcio delle serie inferiori resta invece senza paracadute. Chi finora ha sostenuto queste squadre dovrà concentrarsi sulla propria azienda».
«Soluzioni? Ripensamento di tutti gli investimenti, abilità nella ricerca degli equilibri. Ognuno avrà le formule sue e chi sarà più bravo nell’individuare le migliori e applicarle vincerà. Chi ha le spalle più forti e più fieno in cascina resisterà sempre meglio degli altri. Quindi aumenterà il divario tra le squadre più forti e quelle più deboli».
Innanzitutto, virus o no, quelle regole erano nate con l’intento di risanare i bilanci e abbassare gli indebitamenti ma non prevedevano incentivi per i nuovi investitori. Chi corre a salvare una squadra in difficoltà si porta dietro tutti i danni di competitività negli anni successivi. A maggior ragione questo limite va corretto: ci sarà bisogno di nuovi attori. Inoltre adesso che i ricavi scendono drammaticamente viene meno il principio alla base di quel fair play: che più incassavi più potevi spendere. Quindi, magari ora per il primo anno non sorvegli i bilanci. Ma resta la necessità per tutti di abbassare le spese, la cui voce fondamentale è il monte stipendi».
«Domato il virus, bisognerà rilanciare il calcio. Attenzione: la gente ha già modificato le proprie abitudini e non sappiamo se sarà disposta ancora a spendere tanto per il superfluo. Ecco, il calcio rischia di diventare superfluo. Per evitarlo bisogna dimostrarsi sensibili nei confronti di tanti che rischiano il posto di lavoro. Quando ricomincerà il gioco dell’oca scopriremo che non sono cambiate solo le caselle ma anche i dadi».