ESCLUSIVA PSB – Italiano: “Il mio Spezia? Principi, passione, abnegazione e dialogo”
VINCENZO ITALIANO SPEZIA – Un allenatore moderno per una squadra innovativa. Lo Spezia di Vincenzo Italiano ha regalato alla cadetteria una delle proposte più interessanti del campionato. Un calcio fluido, coinvolgente, pensante. La squadra ha superato le difficoltà iniziali con la forza delle idee, strumento principe quando bisogna affrontare la tempesta. Un percorso bruscamente frenato […]
VINCENZO ITALIANO SPEZIA – Un allenatore moderno per una squadra innovativa. Lo Spezia di Vincenzo Italiano ha regalato alla cadetteria una delle proposte più interessanti del campionato. Un calcio fluido, coinvolgente, pensante. La squadra ha superato le difficoltà iniziali con la forza delle idee, strumento principe quando bisogna affrontare la tempesta. Un percorso bruscamente frenato dalla pandemia che il mondo combatte. Raggiunto in esclusiva dai nostri microfoni, il tecnico ha raccontato diversi temi riguardanti l’esperienza vissuta fino a questo momento con i liguri.
Mister, non possiamo che cominciare parlando della complicata fase storica che stiamo vivendo. Come sta gestendo la legittima preoccupazione per quanto accade con la necessità di dover seguire gli aggiornamenti riguardanti la propria professione e, allo stesso tempo, far sentire ai calciatori la propria vicinanza così da non perdere il ritmo cognitivo, dato che quello fisico è inevitabilmente compromesso? A tal proposito, qual è la sua posizione in merito al ritorno in campo?
“Questa situazione ha colto tutti noi impreparati, nessuno si aspettava tutto ciò. Abbiamo sottovalutato il problema per poi ritrovarci trincerati in casa, cercando di combattere questo avversario invisibile, che ci ha stravolto la vita. Per quanto ci riguarda, abituati a stare insieme ogni giorno per lavorare in un certo modo, soffriamo questa situazione. Il nostro è un gruppo straordinario, così come credo quelli delle altre compagini. Continuiamo a monitorare i ragazzi da casa, si stanno allenando e anche a livello aerobico stanno facendo qualcosa grazie a tapis roulant e cyclette. È normale che allenarsi insieme sia tutt’altra cosa, ma posso assicurare che la squadra non è ferma. Per quanto riguarda il ritorno in campo, penso che fino a quando il virus non perderà energia bisognerà, in primis, salvaguardare la salute di tutti. Il calcio per me è una ragione di vita, ma la salute ha la precedenza su tutto e, fino a quando il Covid-19 sarà così presente, il primo obiettivo dovrà essere questo. La ripresa dovrà essere portata avanti in condizioni simili a quelle che abbiamo imparato a conoscere, perché il calcio senza pubblico e senza un abbraccio spontaneo non è calcio”.
Parliamo di calcio, perché dinanzi al lavoro suo, dello staff e dei ragazzi non c’è ostruzione che tenga. Lo Spezia è l’esempio di come i principi di gioco possano e debbano avere la meglio sui momenti di difficoltà e le incertezze insite in un progetto che ha preso il via in questa stagione. Più che gli ottimi risultati, come giudica il percorso?
“Abbiamo avuto un inizio difficile dal punto di vista dei risultati, mentre le prestazioni, eccezion fatta per qualche sporadica eccezione, sono sempre state confortanti. Nei primi tempi il nostro calcio sembrava ingolfato, poco veloce, ma credo che siano le difficoltà da superare quando parte un nuovo percorso. La sensazione era che mancasse poco per ottenere qualcosa di importante. Abbiamo avuto pazienza e lavorato credendo nei nostri principi, che i ragazzi hanno assimilato. Da gennaio la musica è cambiata, i calciatori hanno dimostrato di pensarla tutti allo stesso modo ed è stato creato qualcosa di magnifico. È arrivata la svolta, i ragazzi andavano in campo divertendosi e macinando record su record. Siamo contenti perché abbiamo ribaltato una situazione negativa, facendola diventare un qualcosa che ci rende felici”.
Parlavamo di principi di gioco, quelli che permettono allo Spezia di essere una delle squadre più moderne che la Serie B abbia conosciuto nel recente passato. La sua è una compagine con un direttore d’orchestra, Matteo Ricci e, allo stesso tempo, opzioni di gioco e manovra che vanno oltre il singolo. Avete applicato concretamente un concetto atipico per l’Italia: il regista è chi ha il pallone e lo sviluppo non conosce un solo spartito. Andiamo nel dettaglio con qualche esempio: gli avversari seguono Ricci a uomo? Ecco che la gestione del pallone passa a Bartolomei, Maggiore, così come Ferrer dalla fascia destra che occupa i mezzi spazi oppure Federico Ricci che lei ha reso associativo. Insomma, uno spettacolo di coralità.
“Si inizia con la ricerca della creazione di un’idea condivisa e che va dall’allenatore al gruppo. Ogni calciatore, quando ha la palla tra i piedi, può essere un regista. Tutti possono essere cruciali, soprattutto in un calcio, come quello moderno, diventato molto veloce e con la necessità di far fronte a una marcatura a uomo costante. In questo contesto, dunque, non si può passare dai piedi di un singolo calciatore, ed ecco che riprendiamo il discorso dei terzini. Quando hanno spazio, devono invaderlo ed essere determinanti. Stesso discorso per i difensori oppure per i centrocampisti quando riescono ad andare dentro, senza dimenticare gli attaccanti esterni. Tutti registi, tutti partecipi alla costruzione del gioco, sfruttando l’idea del tecnico, che mira alla ricerca continua dell’ampiezza. Il gioco-fuori può permettere di arrivare sul lato debole così da poter venire dentro al campo e trovare compagni liberi. Questa proposta ha determinato la notevole rilevanza assunta dai terzini nella nostra proposta, così come ci siamo ritrovati con i difensori centrali in conduzione quasi al ridosso della linea avversaria. Principi, questi, che sono stati assimilati dalla squadra, come detto in precedenza”.
Sulla falsa riga di quanto appena detto, come vede il calcio Vincenzo Italiano? La sensazione, osservando e analizzando la sua squadra, è che lei dialoghi molto con i calciatori che, come detto, hanno assimilato le sue idee. Soprattutto: non conta il ruolo ma la funzione, perché i suoi calciatori hanno costantemente dimostrato di sapere quando invadere la linea di pressione avversaria, quando attrarre, quando accelerare e quando respirare. Non può che esserci un lavoro notevole dietro.
“Il lavoro dell’allenatore non si esaurisce nelle due ore in campo, è un costante inserimento di nozioni. Erlic, a tal proposito, fece una battuta: “Il mister, quando ci vede al ristorante, ci ferma e parla di calcio e delle situazioni dove dobbiamo migliorare”. L’idea alla base è che per un allenatore non c’è un momento migliore dell’altro per far capire cosa si ha intenzione di proporre. I ragazzi, come sostengo, devono essere circondati dal credo tattico del tecnico. Oltre alla componente campo, dunque, si può accelerare questo processo come appena spiegato. Sono un malato di calcio, parlo con i ragazzi ogni volta che posso, voglio che siano partecipi e che condividano il mio pensiero. Questo sport è uno spettacolo che dobbiamo cercare di alimentare. Mi piace giocare in maniera offensiva, cercare di fare un gol in più dell’avversario e allora tutti quei principi prima elencati sono frutto di un pensiero, che è quello di cercare sempre la vittoria. Se non trasferisci coraggio e questo tipo di mentalità, non si nota un simile risultato in campo
Domanda secca: ha avvertito il peso della pressione tra settembre e novembre?
“Credo sia normale. Nel nostro Paese c’è poca pazienza verso ciò che si propone e si fa. Ripensando a tutto ciò che accaduto, viene da pensare: “Eppure erano passate appena 6-7 partite”. Sembrava che lo Spezia fosse già morto e sepolto per i media e l’ambiente, che un po’ si stava preoccupando. Ero sicuramente angustiato dal fatto che non si riuscisse a condire il lavoro con qualche risultato. Poi, come detto prima, quando abnegazione, passione e dedizione sono davanti a tutto, il lavoro esplode e si viene fuori. In quel momento, però, mi turbava vedere i miei ragazzi non contenti”.
Data questa risposta affermativa, è doveroso chiederle che lavoro ha fatto su se stesso prima e sui calciatori poi per far capire che quello fosse il percorso da seguire. Prima esperienza in B per lei, risultati che non arrivavano e un mondo, quello del calcio, che taglia le gambe. Non sarà stato facile.
“In questo mondo le migliori informazioni arrivano dai calciatori, che aiutano a capire come vanno gestite determinate dinamiche. Mi resi conto come fosse necessario modificare alcuni atteggiamenti: ho preferito dare qualche certezza in più alla squadra, renderla meno spavalda, avere un baricentro un po’ più basso e cercare di sfruttare la velocità e le qualità di alcuni miei calciatori. Le loro caratteristiche hanno rappresentato le informazioni per il sottoscritto. Come ho detto prima, mi piace tanto coinvolgere i ragazzi, con cui parlavo praticamente sempre, perché non bisogna dialogare solo quando le cose vanno bene. Ecco che, insieme, abbiamo cercato di trovare la soluzione e l’atteggiamento giusto per ritrovare autostima e serenità. La mancanza di risultati mina le certezze che pensavi di avere. Da qui è nato un cambiamento che ha coinvolto anche e soprattutto me. Arrivavo da due esperienze vincenti ma penso che siano i momenti di difficoltà a insegnare tante cose. Mi sono dovuto ricredere su alcuni aspetti e sono felice di aver trovato la chiave giusta”.
Cosa la spaventa maggiormente dell’ipotetica ripresa? Condizione fisica, coinvolgimento tattico da risvegliare oppure altro?
“Qualora si riprendesse con la necessità di terminare in fretta il campionato, saranno compressi i calendari e si giocheranno tante partite in pochi giorni. Il mio primo pensiero è chiaramente legato a problematiche di natura fisica. Come discusso in apertura, i ragazzi si stanno allenando, ma farlo da solo è diverso rispetto a quando lo si fa con la squadra ad una determinata velocità e con gli stimoli della seduta collettiva. Mi sento spesso con i ragazzi, c’è una battuta che faccio sempre: “Ciò che non si allena si dimentica”. Sono convinto, però, che quando una squadra vive un processo di crescita non è così facile metterle i bastoni tra le ruote. Posso inoltre far leva su un gruppo di ragazzi intelligenti, grazie a loro basterà poco per riaccendere il motore alla ripresa”.
Per concludere: obiettivo Serie A per lo Spezia in caso di ripartenza?
“La nostra è una classifica che ci piace e che, come dicevo prima dello stop, non vogliamo abbandonare. Trovandoci a pochi punti dalla promozione diretta e dentro una griglia playoff di tutto rispetto, in ottica ripartenza dovremmo cercare di andare forte per alimentare questo sogno. Faremo di tutto per restare nelle posizioni in cui siamo adesso”.
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