Venezia, Scibilia: “Ripartire? Deve esserci la possibilità, non basta la volontà”
SCIBILIA VENEZIA – Dante Scibilia, direttore generale del Venezia, è intervenuto ai microfoni di TMW Radio. Ecco quanto evidenziato da tuttomercatoweb.com: “La mia esperienza con il Coronavirus? Mi collocherei in una zona intermedia: ho avuto qualche sintomo verso la fine di febbraio, il 23 o 24, ma non così gravi da richiedere un ricovero in […]
SCIBILIA VENEZIA – Dante Scibilia, direttore generale del Venezia, è intervenuto ai microfoni di TMW Radio. Ecco quanto evidenziato da tuttomercatoweb.com: “La mia esperienza con il Coronavirus? Mi collocherei in una zona intermedia: ho avuto qualche sintomo verso la fine di febbraio, il 23 o 24, ma non così gravi da richiedere un ricovero in terapia intensiva. Purtroppo ho avuto la sfortuna di averlo contratto in un periodo nel quale si sapeva davvero pochissimo. I miei sintomi sono stati identificati con una normale influenza, ma col passare del tempo mi sono reso conto che certi sintomi così strani potevano essere ricondotti al virus: ho avuto grandi difficoltà respiratorie, a fare una rampa di scale mi sembrava di salire su una montagna ripida per ore e ore, tosse, febbre altalenante a 37.5-38 ma con la percezione che fosse a 40 perché non riuscivo neanche a mangiare. Pure qualche problemino renale, che adesso devo verificare. Poi ho fatto il test sierologico, e son risultato positivo. Oggi sto bene, non ho alcun problema e lavoro da casa perché noi ancora in sede non siamo rientrati. Passati i sintomi ci ho messo una quindicina di giorni ad avere una vita normale: la stanchezza mi è rimasta per parecchio tempo.
In società come la nostra o la Cremonese c’è una sensibilità diversa rispetto ad altri, perché abbiamo vissuto la situazione più da vicino, sia sul territorio che per la squadra. Loro hanno perso il loro magazziniere, e queste cose ti danno un’attenzione diversa. Ho cercato sempre di affrontarlo senza considerare i desideri delle persone: al di là di ciò che vorrei, provo a fare un’analisi seria. Invece vedo che c’è una corsa a voler riprendere in tutti i modi, ma bisogna essere oggettivi e valutare cosa si può fare e cosa no. Oggi è difficile esprimere un giudizio, non abbiamo neanche un protocollo certo ma si rischia che molte società non riusciranno a porlo in essere, non si possono garantire certi parametri con le strutture che abbiamo. Le società andrebbero anche incontro a rischi penali così. In Germania hanno deciso di ripartire perché hanno costruito certe basi, mentre qui non si sono neanche risolti i problemi principali. La Serie A sta già facendo i tamponi, forse perché hanno canali privilegiati, in B nessuna. Se una società di Serie B chiama l’Asl, gli viene detto che i tamponi prima vanno ad altre categoria. Senza quelli, però, non possiamo neanche garantire che si riprenda. Il rischio è che non si riesca a ripartire: la Lega di B ha detto che si riprende a certe condizioni. L’aspetto economico però non è da poco: l’impatto è di circa 800-900mila euro a società, in media. Non tutte le società se lo possono permettere, non hanno più fondi perché stanno perdendo ticket, merchandising, e noi stessi che ne abbiamo tanto non stiamo più vendendo niente, ma anche i biglietti, i rimborsi per gli abbonati… Un milione non sono pochi soldi, e serve che qualcuno ci venga in aiuto. Pensate a società come Trapani, Cosenza e Crotone che ogni partita in trasferta devono spendere 40mila euro di volo charter, e non possono fare altrimenti. In più i test che sarebbero circa un 100mila euro in più, la spesa per prendere un albergo in esclusiva che sarebbero 3-400mila euro, più i soldi per il pullman da tenere sanificato… Cominciano ad essere tanti soldi. Ci sono società che sono in grado di farlo, altre che sono più attente al budget chiuderebbero la serranda se spendessero questi soldi per poi fermarsi di nuovo. Non si può far altro che ripartire solo quando ci sarà il protocollo, augurandosi che sia preciso e disciplini bene le varie fattispecie, non delle linee guida alla Ponzio Pilato. Sennò si scaricherebbe tutta la responsabilità sulle società, mentre deve prendersela il Governo. Tutti vogliamo ripartire, ma serve avere possibilità di programmare e partire tutti alle stesse condizioni. Facciamolo se c’è un senso, la buona volontà non è sufficiente.
Le calamità che hanno colpito Venezia? Sì, già a novembre l’acqua che ha allagato la città ha messo in grande difficoltà delle attività, specialmente quelle che stavano al pian terreno. Questo ha spaventato molto i turisti, che sono calati. Se poi aggiungiamo una chiusura forzata di tre mesi per la quale non si vede la luce, perché i prossimi turisti non si sa ancora quando arriveranno, ci saranno ripercussioni importanti. Lo Stato dovrebbe cominciare a valorizzare di più le proprie eccellenze: Venezia, culturalmente e architettonicamente, è un unicum. Capisco l’equità, ma Venezia ha delle specificità e dovrebbe meritare più attenzioni.
Spadafora? Il calcio è un’industria importante, ma non deve essere strumento per critiche banali o polemiche politiche. Se ne sentono di tutti i tipi, qualche leader cavalca la cosa solo per attaccare il Governo, ma senza un interesse reali, con qualunquismi che non servono al dibattito né a risolvere i problemi. Sicuramente ci sono stati dei fraintendimenti, ma non si può criticare l’atteggiamento del Governo. Criticare e parlare dopo è facile, ma credo nessuno oggi farebbe a cambio con loro. Le scelte sono difficili, e la mancanza di conoscenza sul virus, obbliga il Governo a muoversi a vista. In più abbiamo pure avuto la sfortuna di essere stati i primi in Europa, senza poter utilizzare altri esempi come parametro. Non si è mai sbilanciato, ma probabilmente perché non poteva farlo: non ho un giudizio negativo né sul Ministro né sulla Federazione.
Le grandi crisi, economiche o sociali, hanno sempre cambiato i paesi, o in meglio o in peggio. Questo perché nascondono opportunità, spazio per fare qualcosa di diverso. Il calcio deve scegliere se vuole continuare così o cogliere l’opportunità. Ma serve un patto, e il primo deve essere tra le società di calcio. Pensare ai vantaggi di domani senza pensare al dopodomani, non porterà alcun cambiamento. Così è cambiato il calcio in Germania, per esempio: ci vuole un patto tra le Leghe, perché i ricavi sono totalmente sproporzionati rispetto agli altri paesi europei. Normale che si fatichi nelle leghe più basse: non ho grande fiducia che possa avvenire, ma è una chance. Altrimenti si droga il mercato, e saltano le società, con danni per tutto il sistema: bisogna equilibrare costi e ricavi, ma con azioni concrete e non solo parole. Sento sempre idee, ma poi riforme non si fanno mai. In Italia probabilmente abbiamo tante società che meriterebbero un trattamento diverso: il semi-professionismo per tante di queste farebbero risparmiare tanti soldi e le renderebbero sostenibili“.