Lecce-Chiricò: il tifo vince, ma la società soccombe
CHIRICO LECCE – Chi scrive non ha eseguito una minuziosa anamnesi dei trascorsi di Cosimo Chiricò con la maglia del Lecce. Non per pigrizia o approssimazione, ma perché irrilevante ai fini dell’analisi di ciò che è accaduto oggi. Quando fu annunciato il ritorno in Salento dell’esterno ex Foggia risultò spontanea una reazione perplessa: era difficile evitare di chiedersi perché mai una società […]
CHIRICO LECCE – Chi scrive non ha eseguito una minuziosa anamnesi dei trascorsi di Cosimo Chiricò con la maglia del Lecce. Non per pigrizia o approssimazione, ma perché irrilevante ai fini dell’analisi di ciò che è accaduto oggi.
Quando fu annunciato il ritorno in Salento dell’esterno ex Foggia risultò spontanea una reazione perplessa: era difficile evitare di chiedersi perché mai una società benvoluta compiesse una scelta tanto divisiva per la piazza, invece di cavalcare l’onda dell’entusiasmo per la promozione. Poi piovvero conferme e legittimazioni: da Meluso a Sticchi Damiani, tutti si dichiaravano convinti dell’utilità alla causa del calciatore. La conferenza stampa del diretto interessato pareva dissipare ogni lecito dubbio: Chiricò desiderava riscattarsi prima come uomo che come giocatore, la dirigenza puntava sulla sua determinazione per sparigliare le difese avversarie.
I malumori, tuttavia, sono stati sfogati in maniera fragorosa durante tutta l’estate. La frangia degli ultras giallorossi non ha mai dato il minimo segnale di distensione, ribadendo di volta in volta lo sdegno per la presenza in rosa di un “traditore”. Il picco massimo del dissenso lo si è toccato nel secondo tempo di Lecce-Salernitana, quando, in seguito all’ingresso in campo del numero 7, la Curva Nord del “Via del Mare” ha iniziato ad intonare cori al vetriolo contro Liverani e la proprietà stessa. Una situazione paradossale, che ha macchiato il ritorno in B tra le mura amiche.
Nel comunicato odierno che annuncia l’esclusione dalla rosa di Chiricò ciò che si tenta di far emergere è l’inesorabilità della decisione. Di imponderabile in questa faccenda, invece, c’è davvero poco.
Come ci si sarebbe potuti aspettare una reazione diversa da parte della Curva Nord?
Come si può permettere ai supporters di imporre scelte a cui sono preposti professionisti ben pagati?
Perché prendere una decisione così coraggiosa se non si ha il polso per portarla avanti?
La società si è autoinflitta un danno d’immagine enorme, palesando la propria dipendenza da uno sparuto gruppo di persone. Se si perde il senso dei ruoli, il business del calcio scivola nel regno dell’anarchia: a progettualità e investimenti si sostituiscono timore e ricatti. La cultura pallonara nel nostro paese è allo stato brado non soltanto sugli spalti, ma anche in seno a diversi organigrammi dirigenziali. Assecondare chi paga i biglietti anche a costo di dilapidare un patrimonio economico e umano è un atto di condanna a morte.