Dalla stagione fallimentare al “naufragio” in Laguna: Palermo, riparti da zero
L'analisi sulla complicata stagione dei rosanero, conclusasi con l'eliminazione dai playoff ad opera del Venezia
IL “NAUFRAGIO” IN LAGUNA: IL RIASSUNTO
Per alcune persone, la mancata promozione del Palermo potrebbe fare scalpore, magari come un colpo di scena nell’impervia Serie B. Restringendo il raggio alle aspettative estive, sicuramente sì. Prendendo in considerazione l’andazzo in campionato, invece, non c’è davvero nulla di sorprendente. Chiunque volesse un riassunto della stagione rosanero, dovrà semplicemente sintonizzarsi sulla replica del doppio confronto col Venezia in semifinale playoff: la fotografia di cosa (non) sono stati i siciliani nell’ultimo campionato. In tal senso, il focus non lascia spazio a dubbi.
Nel primo atto si è intravista una formazione tutto sommata equilibrata che, nonostante la non eccelsa produzione di gioco, è riuscita a giocarsela ad armi pari contro degli avversari che potevano usufruire di un vantaggio in termini di classifica e di risultato. Tuttavia, le sensazioni di positività dell’ambiente siciliano sono state spezzate al minuto 62, quando Pierini – col suo piede debole – è riuscito a scardinare la retroguardia rosanero con una conclusione da fuori area valsa lo 0-1: una costante, consultando il capitolo della tipologia dei gol subiti nell’almanacco stagionale dei rosanero (quasi come se tentare il tiro dalla distanza aumentasse le percentuali di poter insaccare la rete).
Al “Penzo” – al ritorno – ci si sarebbe aspettato un Palermo battagliero e smaliziato, con una mente sgombra da calcoli. Peccato che ogni tipo di aspettativa sia andata ad infrangersi contro il muro di impassibilità eretto dai calciatori rosanero. Bordata da fuori (ancora una volta) di Tessmann e 0-1 dopo appena 4 minuti: un gol subito a freddo, anche qui nessuna novità (per sicurezza chiedere a Borrelli su Brescia-Palermo 4-2). Ci ha pensato poi Candela a “spegnere” le esigue speranze avversarie col 2-0. Inutile sottolineare come i successivi lampi siciliani non siano riusciti a salvare il vascello rosanero dal naufragio in Laguna.
LA STAGIONE FALLIMENTARE: I TRE PUNTI CHIAVE
- LA PANCHINA
Chi, se non lei? La panchina del Palermo, innegabilmente la principale problematica dei rosanero. “Ve l’avevamo detto” potrebbe risuonare egoriferito ma, già un anno fa, avevamo evidenziato come la conferma di Corini potesse portare con sé un consistente alone di dubbio per via di prestazioni altalenanti e povertà creativa. Non ce ne voglia il buon Eugenio – professionista esemplare e dalla grande umanità – ma tra i tanti alti e bassi di un’annata incompiuta ci si è ritrovati di fronte ad una formazione di elevata caratura applicare inconsciamente il manuale autodistruttivo dell’harakiri perfetto. “Quando i risultati non arrivano, le principali responsabilità sono del tecnico”; “No, la colpa è di tutti”; quante volte abbiamo udito queste frasi dopo una débâcle? Condivisibili o meno, è assodato nell’ultimo biennio Corini non sia riuscito a nascondere i suoi limiti nell’asettica gestione della rosa. La carenza di risultati, le convinzioni limitanti e le scelte discutibili hanno probabilmente esacerbato gli animi nel suo rapporto con l’ambiente – verissimo – ma tutto può essere dibattuto fuorché l’incondizionata fiducia di cui ha goduto, con la società speranzosa di poter invertire il trend. Proseguendo la carrellata di frasi all’insegna dell’ovvietà… “tutte le cose belle finiscono”, sì, ma potrebbero e dovrebbero finire con dignità e serenità qualora non si intravedano dei margini di prosecuzione nel rapporto. Non esattamente la circostanza di quando – nel giro di due settimane – una squadra si ritrova surclassata a domicilio dal Venezia, oppure rimontata in extremis da una doppietta di Tramoni sotto la torre pendente di Pisa (a proposito, quale miglior gara per riassumere la grottesca serie di rimonte subite dai rosanero?).
Capitolo Mignani: a prescindere dall’epilogo, è stata comunque una scelta azzeccata per le caratteristiche orientate all’equilibrio e all’attenzione difensiva, due componenti sconosciute dal Palermo dell’ultimo periodo. Indiscutibile l’oculatezza del City Group nella decisione, se non fosse per le tempistiche tardive (oseremmo dire inutili). È più facile… (scegliete voi, qualsiasi cosa) che incidere nel rush finale di stagione, soprattutto quando è necessario lavorare in pochissimo tempo su una formazione forgiata dal tecnico precedente nell’arco di due stagioni. Lo scarso tempo a disposizione ha chiaramente esonerato l’ex Bari da quasi tutte le responsabilità di un’annata terminata male, malissimo.
- LA DIRIGENZA
Ebbene sì, a questo giro emerge una nuova certezza: Eugenio Corini non è l’unico responsabile della rovinosa stagione del Palermo. Un certo grado di disfunzionalità è stato registrato anche dalle parti degli uffici dirigenziali. Chiariamo subito che lo sforzo economico della società sul mercato sia stato encomiabile. Il risultato finale, però ha fatto emergere un mancato allineamento tra le risorse impiegate e la bontà dell’investimento. Il know-how del tandem Rinaudo-Bigon è sicuramente di spessore, ma non può essere esentato dalle responsabilità. Analizzando con criterio la costruzione della rosa, non ci si può che soffermare sulla difesa, il reparto simbolo delle difficoltà: ingaggiare due profili di esperienza, come Lucioni e Ceccaroni, non garantisce automaticamente la possibilità di dormire sonni tranquilli e questo qualcuno avrebbe dovuto metterlo in conto. A maggior ragione se, per infortuni e prestazioni non all’altezza, i sostituti non possono essere considerati allo stesso livello. Perché non rinforzare il reparto con ulteriori centrali di spessore? Domanda più che legittima, al contrario di una recidività protrattasi nella sessione invernale di calciomercato. In tal senso, impossibile accontentarsi dell’ingaggio Diakite, poi collocato stabilmente sulla fascia destra. Centrocampo ed attacco, invece, hanno spesso alimentato la sensazione di ritrovarsi di fronte a delle cosiddette “figurine”; calciatori dal profilo altisonante per la B (magari promossi in A l’anno prima) ma probabilmente inadatti al progetto tecnico dei siciliani. Eccezion fatta per gli acquisti più impattanti, Diakite e Ranocchia, e pochi altri.
“Certi amori fanno giri immensi e poi ritornano…” ad Eugenio Corini: è indubbio che la dirigenza non abbia gestito proficuamente la posizione del tecnico. Di fronte ad un’asticella degli obiettivi in rialzo, probabilmente l’errore più grossolano è stato quello di non aver fatto tesoro dei limiti e degli errori del passato. La fiducia incondizionata – di cui parlavamo prima – è un bene, fino a quando non assume le sembianze di un’arma a doppio taglio sfociante in una difficoltà di percezione del momento. E quando tiri troppo la corda, questa si spezza. Una maggiore consapevolezza e forse tempestività sullo scossone in panchina avrebbero potuto garantire maggiori margini di manovra nel prosieguo.
- LA SQUADRA
Ultima – ma non per importanza – la componente nevralgica del risultato: la squadra. Ad eccezione di alcune individualità, è lapidario che complessivamente la formazione rosanero abbia reso nettamente al di sotto delle aspettative. Un organico costruito per la promozione diretta che, nel peggiore dei casi, avrebbe dovuto stazionare tra il terzo e il quarto posto, ritrovandosi poi a difendere la qualificazione ai playoff e il sesto posto nelle ultime due giornate: se non è un fallimento, come dovrebbe essere definito? Il mix di calciatori conoscitori della categoria e giovani di buone prospettive non ha funzionato. L’ennesima conferma che nel calcio serve qualcosa in più dell’aspetto tecnico: l’atteggiamento e la fame di ottenere il risultato, ciò che hanno dimostrato di avere Parma, Como e Venezia. Un ottimo assist per introdurre il grande gap dei rosanero, la fragilità mentale: impossibile non notarla nell’arco di molte gare, dalle innocue reazioni dopo una rete subita alla bizzarra incapacità di gestione di un doppio vantaggio (e perché menzionare proprio Cremonese-Palermo, la svolta in negativo dell’annata?) Un’inadeguatezza che, oltre ad essere insita nella personalità complessiva della squadra, si è rivelata essere figlia di una noncuranza da parte della gestione tecnica.
“Giocare a Palermo non è semplice, ci sono pressioni che ti responsabilizzano, a volte ti fa sentire veramente calciatore, ma in un attimo ti distrugge“, la conferma di quanto sostenuto in una frase proferita dal capitano Brunori – al termine della semifinale di ritorno al “Penzo” – scaturente più di qualche malumore nel tifo rosanero. Una riflessione che può risultare certamente veritiera in piazze esigenti come questa, ma che scoperchia indirettamente il vaso di Pandora sulla debolezza mentale dei siciliani. Lo sport più bello del mondo non è tutto rose e fiori. Ogni calciatore dovrebbe mettere in preventivo che i privilegi possono essere contrapposti ad alcuni lati negativi, tra cui una crescente pressione con cui convivere necessariamente qualora si vogliano coltivare delle ambizioni. Prendere o lasciare.
IL FUTURO: RIPARTIRE DA ZERO
Il futuro è un’incognita, vero, ma non per il Palermo che nel lungo termine può usufruire delle doti organizzative e di programmazione del City Group. L’obiettivo continuerà ad essere la Serie A, ma servirà lavorare alacremente affinché questa non diventi una malsana ossessione. Dal primo anno del consolidamento al secondo delle occasioni sprecate, il bagaglio di esperienze dovrà confluire in una terza annata all’insegna di una maggiore consapevolezza ed unità d’intenti.
La certezza è che servirà ripartire da zero: non è un segreto, infatti, che il progetto tecnico degli ultimi due anni, fallimentare, sia ormai ai titoli di coda sotto ogni punto di vista. Non è chiaro chi saranno i prossimi interpreti, ma al “Barbera” soffia già aria di rivoluzione. Da un momento all’altro, potrebbe esserci nuove figure nelle vesti di allenatore, capitano e direttore sportivo. A prescindere da eventuali conferme o innesti, i rosanero dovranno obbligatoriamente fare tesoro dei propri errori, mantenendo la testa bassa e concentrando le proprie forze sul lavoro quotidiano. Ma un effettivo cambiamento di rotta potrà essere registrato soltanto quando verrà assimilata una dote fondamentale: l’arte dell’umiltà. Tutto ciò che verrà fatto in più, sarà tanto di guadagnato.