Perugia in Serie C: la conseguenza di 6 anni di nulla
La sensazione che sta vivendo Perugia il giorno dopo la sfida ai rigori persa con il Pescara è quella tipica di chi si trova in un vero e proprio incubo. Con una non trascurabile differenza: gli incubi sono imprevedibili. Invece quello che è successo al Perugia era prevedibile. Come potevano le cose andare diversamente? Il […]
La sensazione che sta vivendo Perugia il giorno dopo la sfida ai rigori persa con il Pescara è quella tipica di chi si trova in un vero e proprio incubo. Con una non trascurabile differenza: gli incubi sono imprevedibili. Invece quello che è successo al Perugia era prevedibile.
Come potevano le cose andare diversamente? Il Presidente del Perugia, da sempre acclamato dalla stragrande maggioranza dei giornalisti perugini del capoluogo umbro, non ha mai voluto imparare da chi, oggettivamente, ha fatto meglio di lui. Il Cittadella spende in ingaggi persino meno del Perugia, ma da quando è tornato in Serie B è sempre arrivata fra le prime otto. In un’occasione sono arrivati perfino alla finale play-off. Come ci sono riusciti? Semplice: hanno lo stesso allenatore e lo stesso blocco di base di giocatori da 5 anni. In una parola: programmazione sportiva. Concetto sconosciuto a Pian di Massiano, dove in 6 anni di B sono passati 8 allenatori (Camplone, Bisoli, Bucchi, Giunti, Breda, Nesta, Oddo, Cosmi) e ogni estate è stata rivoluzionata la rosa. Invece di focalizzarsi su questi aspetti, a Perugia si è preferito prendersela con chi “mi ha scaricato”, come ha detto lo stesso Santopadre qualche giorno fa.
Forse però la cosa più triste non è tanto la retrocessione in sé, ma il fatto che in sei stagioni non sia stato costruito nulla. Una squadra che trasmette senso di appartenenza? Zero. Giocatori che mettono in campo grinta, cuore, passione? Zero. Il settore giovanile? Non pervenuto. Sei anni di nulla, se non di chiacchiere.
Più precisamente chiacchiere a intermittenza. Perché quando c’era bisogno di qualcuno che ci mettesse la faccia, puntualmente davanti alle telecamere non è andato nessuno. Come dopo i calci di rigore, quando sarebbe stato dignitoso che qualcuno si prendesse la responsabilità di parlare a un microfono per chiedere scusa ai tifosi. Non per una questione di romanticismo, ma perché quelle sono le persone che in tutti questi anni hanno portato i loro soldi, frutto di sacrifici e sudore della fronte, nelle casse della società. Quelle persone meritano rispetto. Sempre. Forse qualcuno se l’è scordato.
Articolo a cura di Giacomo Cangi