SPAL, quando il Made in Italy è una scelta precisa
La domanda è lecita: perché sottolineare, evidenziare, elogiare o come dir si voglia, una cosa che dovrebbe essere normale? La risposta sta proprio lì, in quel “dovrebbe”, in quel condizionale dietro il quale si nasconde un archivio non indifferente di discussioni, dialoghi, polemiche, diventate praticamente routine negli ultimi tempi, che vengono sempre riportate alla luce, […]
La domanda è lecita: perché sottolineare, evidenziare, elogiare o come dir si voglia, una cosa che dovrebbe essere normale? La risposta sta proprio lì, in quel “dovrebbe”, in quel condizionale dietro il quale si nasconde un archivio non indifferente di discussioni, dialoghi, polemiche, diventate praticamente routine negli ultimi tempi, che vengono sempre riportate alla luce, aggiornate, senza però soluzioni definitive. Qualcuno, anzi qualche società, che prova a voltare pagina però la troviamo.
Con calma, ancora non si è detto di cosa si stia parlando.
Quest’oggi aggiungiamo un altro fascicolo a quell’interminabile archivio prima citato, con l’intento però di fare del bene (speriamo). Archivio chiamato “Stranieri in Italia” e che tanto fa discutere gli addetti ai lavori di questo fantastico ma controverso mondo chiamato calcio. Tanti, forse troppi, per qualcuno ingombranti. Calciatori che arrivano nel nostro Paese per cercare le proprie fortune, per innalzare il livello qualitativo di una compagine, per aiutare un movimento in difficoltà c’è chi dice proprio a causa loro. “Perché vengono preferiti agli italiani” viene detto, con in aggiunta “non sono più bravi dei nostri”. Vi sono società, in particolar modo nelle categorie superiori, che sembrano pensarla proprio in maniera opposta ai virgolettati prima inseriti, che fanno dei calciatori stranieri “una scelta”, quasi una necessità. Prima però avete letto che c’è chi lavora in modo diverso, chi fa del Made in Italy una prerogativa. Di chi parliamo?
Andiamo a Ferrara, Emilia Romagna, città nella quale gioca la S.P.A.L. (Società Polisportiva Ars et Labor). Una rapida ricerca circa il significato di quest’acronimo ci porta a varie traduzioni: arte e lavoro, arte e fatica, trucco e fatica. Non ci dilunghiamo, entreremmo in un campo che non è il nostro e dove la percentuali di errore si aggira dal 99.9% al 100%. Lo sottolineiamo solo perché sono proprio queste le parole che meglio rendono l’idea del modus operandi (oggi ci va di scrivere in latino, scusateci) dei romagnoli: fatica, forse meglio dedizione, volontà di trovare giocatori italiani adatti al progetto tecnico, per realizzare quella che è una piccola opera d’arte, non volendo scomodare il termine “miracolo”. Questo perché, dati alla mano, tra Serie A e Serie B la SPAL è l’unica, ripetiamo l’unica, società a non avere stranieri in rosa (il Sassuolo, tanto elogiato nel recente passato per l’ottimo lavoro fatto in tal senso, ne ha quattro). Italiani, giovani, talentuosi . Il giusto mix per rendere la compagine brillante (non mancano giocatori di esperienza, fondamentali in un campionato ostico come la Serie B) e pronta a mettersi in gioco. Basti pensare che l’ultimo straniero ad aver vestito la casacca biancazzurra è stato il brasiliano Togni due stagioni fa (non consideriamo Ferretti, De Cenco e Contini, tutti con doppia nazionalità, tra cui quella italiana). Una scelta dovuta ad una precisa linea societaria, con il DS Vagnati in prima linea, ovvero quella di dar spazio ai talenti nostrani, a giocatori che possono dire la loro e dare un importante apporto ad una squadra che tanto bene sta facendo e che, dopo essere tornata in Serie B, ha voglia di restarci, possibilmente con e grazie al Made in Italy.
N.B. Quest’articolo non ha l’obiettivo di muovere una critica ai calciatori stranieri presenti in Italia, ha semplicemente l’obiettivo di elogiare l’operato di una società, in questo caso la SPAL. Restiamo consapevoli che le qualità di un calciatore non si guardano dal luogo di nascita ma da ciò che riesce a fare sul rettangolo verde. Grazie a tutti per l’attenzione!