ESCLUSIVA PSB – Amelia: “Il male del calcio italiano ha radici culturali. Serie B? Dico che…”
Due volte Campione d’Italia, vincitore di diversi trofei con quel Mondiale 2006 come punta di diamante. Tanta esperienza e passione al servizio delle squadre nelle quali ha militato. Marco Amelia è un profilo che non richiede ulteriori presentazioni. Bandiera del nostro calcio, di quelle che ora difficilmente vi sono esempi, abbiamo avuto l’onore di averlo […]
Due volte Campione d’Italia, vincitore di diversi trofei con quel Mondiale 2006 come punta di diamante. Tanta esperienza e passione al servizio delle squadre nelle quali ha militato. Marco Amelia è un profilo che non richiede ulteriori presentazioni. Bandiera del nostro calcio, di quelle che ora difficilmente vi sono esempi, abbiamo avuto l’onore di averlo in esclusiva ai nostri microfoni. Ecco le sue dichiarazioni:
Vorrei cominciare con il “tuo” Livorno. La squadra amaranto sta affrontando il purgatorio Lega Pro, categoria ostica, ed attualmente sono in zona playoff nel proprio girone. Al Picchi sono ancora imbattuti, ed è una squadra composta da giocatori di indiscusso livello come Luci o Vantaggiato. Un tuo commento.
“Una realtà che non merita di stare in Lega Pro, però purtroppo negli ultimi anni sono stati commessi degli errori. Parliamo comunque di una categoria non facile, il campionato è ancora lungo, bisogna trovare i giusti equilibri, però la squadra ha dalla sua una grande tifoseria che nel momento del bisogno si fa sempre trovare pronta”.
Torniamo alla stagione 2002-2003, nella quale tu militavi proprio in B e proprio con il Livorno, con Donadoni in panchina. Vedendo la classifica marcatori notiamo la presenza di Protti, Ganz, Chevanton, Tiribocchi, tutti giocatori che hanno detto la loro in Serie A ed hanno lasciato un certo segno addirittura nella nostra massima serie. Era una cadetteria che aveva una sorta di filo diretto con la A in materia di giocatori dai quali attingere, con il livello che oggi pare essersi sensibilmente abbassato. In primis ti chiedo se sei d’accordo e, in caso di risposta positiva, come ti spieghi questo livellamento verso il basso della Serie B?
“Ti dirò, non lo vedo come un livellamento verso il basso. Ne faccio una questione di opinione pubblica: non ci sono i nomi, ci sono tanti giocatori che possono fare davvero bene che però non fanno rumore. Pensiamo ad esempio all’Hellas Verona, al quale associamo subito Pazzini per la storia che ha, ma ci sono tra gli Scaligeri giocatori interessantissimi come Valoti oppure Simone Andrea Ganz. La Serie B è diventata un categoria dove transitano piazze importanti ma dove transitano anche giocatori che vogliono emergere, che hanno grandissime qualità e che nel presente e nel prossimo futuro potranno dire la loro. Vedo la cadetteria ora come un trampolino di lancio, ruolo che prima aveva la Lega Pro, perché le società hanno capito che le rose vanno costruite non solo prendendo giocatori già affermati, ma anche elementi di prospettiva”.
Tema calciatori italiani: dati alla mano, in Serie B vi sono circa il 25% di giocatori stranieri, percentuale che per motivi magari dettati anche dalle regole degli under, scende all’11%, quindi con una maggiore presenza dei calciatori nati nel nostro Paese. Quel 14% quindi che fine fa? A cosa pensi siano additabili le difficoltà del salto nel calcio che conta? Magari si può parlare di limiti caratteriali soprattutto dei nostri giovani, poco abituati a reggere certe pressioni sin da piccoli, in quanto poco coinvolti nelle dinamiche complessive societarie?
“I giovani italiani, con le dovute eccezioni, rispetto ai loro coetanei stranieri hanno una preparazione mentale più limitata. Non sono pronti, questo è il punto. Prendiamo un tedesco ed un italiano di 16 anni, il tedesco è avanti. Sai cosa da ciò dipende? Dagli atteggiamenti dei genitori e dalla nostre scuole. Il sistema scolastico italiano può insegnarti tutto ciò che vuoi, ma non ti insegna a vivere. Ad esempio, il professore riprende il bambino a scuola, il giorno dopo i genitori vanno a polemizzare. Questo ai miei tempi non succedeva: mio padre mi faceva capire dove avevo sbagliato e come dovessi comportarmi. Questo in ogni ambito: nel nostro Paese vi sono ragazzi che a 28-29 anni sono ancora a casa e vanno all’Università per il settimo anno consecutivo. Questo nel calcio, questo nel lavoro, questo in tanti settori. Sto cercando di lavorare su questo con tanti giovani che conosco, e gli dico di imparare i fondamentali del calcio ma dovete imparare a saper stare nel mondo, a saper stare in gruppo, senza aver bisogno degli altri per essere difeso. Anche se ho 13 anni, ed ho un problema con l’allenatore, devo sapermi relazionare e parlare con lui, non mandare il genitore oppure il procuratore, che oggi hanno già in tenera età. Personalmente, farò la mia parte per cambiare lo stato delle cose”.
Tornando al discorso campo, vedi anche tu la forse esagerata importanza che si dà alla tattica fin dai primissimi anni di “carriera” dei ragazzini? Così si accantona la tecnica, con il risultato che poi si hanno difficoltà anche a stoppare un pallone.
“Ti dirò, prossimamente terrò una conferenza assieme ad agenti ed allenatori per spiegare la differenza che c’è tra il calcio italiano ed estero soprattutto sotto questo punto di vista. Qui da noi si perde tempo, la tattica deve uscire dai settore giovanili, oggi ci sono tanti di quegli allenatori che perdono talmente di quel tempo a provare tatticismi che hanno dimenticato che contano i fondamentali del calcio. Come disse Capello, vi sono alcuni allenatori nelle giovanili che andrebbero messi in galera. La tattica la si inizia ad apprendere in prima squadra, magari in Primavera, ma per tattica non intendo i movimenti undici contro zero in campo aperto, tattica è saper marcare all’interno, stare messo bene in campo, avere le giuste distanze, il calcio è concettuale. Prendi Allegri: lavora sui concetti, farà la differenza sempre. Allenatori che ragionano così sono proprio Capello, Lippi, Mourinho, Guardiola, tecnici che hanno stravinto. Non hanno un lavoro di tattica, è un lavoro di concetto con un’ovvia percentuale di tattica. Con Capello ci allenavamo sugli stop, sui lanci, sui passaggi. Anche negli altri sport si comincia dai fondamentali, perché nel calcio dobbiamo apprendere sin da subito la tattica? Bisogna spiegare come coordinarsi, come abbinare i fondamentali del calcio alla coordinazione motoria. Quando iniziai con la Roma, ci insegnavano appunto i fondamentali, e tanti allenatori dell’epoca oggi farebbero la differenza”.
Per chiudere, un tuo commento sull’attuale campionato di Serie B. C’è qualche squadra o qualche giocatore che ti ha particolarmente colpito?
“Oltre le certezze Hellas Verona, Carpi, Frosinone, penso al Pisa che nei suoi grandi problemi sta lavorando con voglia e motivazione, lì poi c’è Rino che è un grande e sta facendo un ottimo lavoro. Il Benevento sta facendo bene ed ottenendo buoni risultati che l’hanno proiettato in zona playoff, è una piazza importante; aggiungo il Brescia, anche loro con tanti problemi ed a ridosso della zona playoff. Parliamo di una piazza tosta, esigente, ma Brocchi sta facendo bene mostrando personalità ed un’idea di calcio. Dispiace per società importanti ma in difficoltà come Vicenza, Trapani, oppure il Cesena che ha fatto un grande mercato e fa fatica a trovare i giusti meccanismi. Attenzione, il campionato di Serie B è molto lungo, lo dico per esperienza: quando arrivai al Perugia, a febbraio, la squadra era in zona retrocessione ma siamo arrivati a giocare la semifinale playoff. La stagione in cadetteria è talmente lunga ed equilibrata che, se riesci a mantenere un certo status psico-fisico anche quando non arrivano i risultati, puoi recuperare al più presto l’eventuale terreno perso”.