ESCLUSIVA PSB – Pettinari: “Cittadella? Non mi sorprendo perché…”
Un passato da calciatore, il ritiro dovuto a problemi di fronte ai quali non ci si può permettere di lanciare il guanto di sfida, la ferma volontà di restare in questo mondo. Abbiamo il piacere di avere in esclusiva ai nostri microfoni Leonardo Pettinari. Da ex calciatore del Cittadella, squadra con la quale raggiungesti i […]
Un passato da calciatore, il ritiro dovuto a problemi di fronte ai quali non ci si può permettere di lanciare il guanto di sfida, la ferma volontà di restare in questo mondo. Abbiamo il piacere di avere in esclusiva ai nostri microfoni Leonardo Pettinari.
Da ex calciatore del Cittadella, squadra con la quale raggiungesti i playoff in Serie B, ti aspettavi di ritrovarli così in alto, dopo le ultime stagioni caratterizzate anche dalla parentesi Lega Pro?
“Conoscendo l’ambiente e la società non mi stupisco, è una delle migliori piazze d’Italia in materia di gestione delle dinamiche societarie. Nella mia esperienza si andò vicini ad un miracolo sportivo, ed anche in questa stagione la squadra sta andando oltre le aspettative. Di ciò, ti ripeto, non mi sorprendo perché è frutto della programmazione e della meticolosità del lavoro”.
Hai vinto un campionato in cadetteria con l’Atalanta, società che punta molto sui giovani e sulla Serie B, dove farli crescere e valorizzarli. Il lavoro attualmente sta pagando, come dimostrano gli ottimi risultati della squadra ora allenata da Gasperini.
“Mi ritengo un privilegiato ad aver giocato nell’Atalanta, quello della Serie B fu un anno un po’ particolare chiuso poi in maniera positiva con la vittoria del campionato. Il discorso va centrato nella gestione della società: a Cittadella ci sono poche pressioni e c’è chi è bravo a metterla quando e dove serve. Bergamo invece è calda come le big di Serie A, ma parliamo di una società con delle basi solide e che lavora benissimo, come poche in Italia, con il settore giovanile, basta vedere quanti giocatori ha in prima squadra del proprio vivaio, quanti in prestito e quanti di proprietà di altre squadre ma comunque cresciuti con la Dea. Alla qualità dei giocatori va poi aggiunta la bravura dell’allenatore nel gestire il gruppo e proporre un gioco propositivo. Un giusto mix che sta portando ottimi risultati”.
Eri un giocatore molto tecnico, correggimi se sbaglio. Soprattutto negli ultimi anni, però, si è vista una predisposizione alla cura della parte tattica a partire dai primissimi anni di carriera dei giovani calciatori. Per te, ora allenatore, ciò è giusto oppure si rischia forse di appesantire la formazione di un ragazzo?
“Hai detto bene, è un’impostazione sbagliata. Ho la fortuna di fare lavoro individualizzato con le giovanili della Fiorentina nelle vesti di, se così posso definirmi, preparatore tecnico, e posso dirti che per fortuna ultimamente pare si stia cominciando a capire il corretto modo di lavorare. Dai 15-16 anni si può iniziare a parlare di tattica, dedicandole un minutaggio comunque inferiore rispetto alla parte tecnica, ciò che davvero conta nella formazione di un giovane calciatore. Fino ad ora però uno dei mali del calcio italiano è stato questo agire con costante riferimento al lavoro tattico e fisico. La cura della tecnica invece è secondo me alla base del processo di formazione di un calciatore, chiaramente col passare degli anni bisogna poi implementare anche la parte tattica, che è giusto che ci sia. Prendi il Barcellona, gioca bene perché ha giocatori di qualità, puoi avere le migliori tattiche di questo mondo ma se non hai le qualità necessarie per applicarle al meglio, il lavoro fatto è inutile. Il discorso però è davvero ampio, perché anche riguardo la tecnica vi sono varie ramificazioni e modi di lavorare diversi a seconda di parametri come l’età”.
Hai allenato tra i dilettanti, quindi sicuramente avrai avuto modo di girare diversi campi periferici. Le storie di Kevin Lasagna, ad esempio, ci insegnano che la qualità c’è anche lì, dove pochi vanno a cercare. Cosa bisognerebbe fare secondo te per rivalutare certi contesti?
“Ti dirò, con riferimento a quest’ambito di visione dei calciatori non mi sento di dare una colpa o puntare il dito contro i metodi usati. Ne faccio un discorso anche logistico, ci son tantissime squadre dilettantistiche e tantissimi campi di periferia, diviene difficile monitorare tutto. Chiaramente ci sono anche lì buoni calciatori sui quali si può lavorare, ma bisogna assistere ad una combinazione di eventi favorevoli come l’amichevole contro la squadra di categoria superiore, oppure la visione da parte di qualche addetto ai lavori di una determinata partita. Sono venuti fuori calciatori di livello anche dalle categorie inferiori, ma credo che in generale il margine di errore sulla visione di questi sia minimo”.