ESCLUSIVA PSB – Sarno: “Stroppa intelligente, non ribaltò il lavoro di De Zerbi. Iemmello avrebbe dovuto giocare dieci anni in A. Su Bisoli e Galazzi…”
Il classe '88 in esclusiva ai nostri microfoni
Il tempo, racconta un ciclopico Luciano De Crescenzo in “Così parlo Bellavista”, è una grandezza bidimensionale, che è possibile vivere in lunghezza e larghezza, modalità rispettivamente contraddistinte dalla monotonia e da continui saliscendi. La linearità, dunque, contro un’imprevedibile alternanza di picchi. Scelta, questa, che può diventare necessità. Costanti riferimenti al relativismo che mai troveranno soluzione, perché ognuno di noi è una sommatoria di esperienze dall’inestricabile decifrazione. Questa verbosità aiuta a introdurre – e al contempo a spiegare – un numero Dieci per talento e resilienza. Vincenzo Sarno ha vissuto finora una carriera, ergo una vita, sposando senza alcun dubbio la declinazione di larghezza che menzionava De Crescenzo, tanto per sua intenzione quanto per inopportune e fastidiose sentenze dal più odioso dei tribunali, quello degli stolti. Oggi, tornato all’ombra del Vesuvio, difende i suoi sogni con indosso la casacca del Real Casalnuovo, ambiziosa compagine che ne sta coccolando l’estro. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, il classe ‘88 ha ripercorso diverse (e significative) tappe del suo percorso.
Vincenzo, il tuo fiorente percorso è stato ulteriormente abbellito da questa tappa in quel di Casalnuovo, dove stai tra l’altro recuperando dopo un grave infortunio.
“Qui è casa mia, i miei genitori sono di Casalnuovo e sono cresciuto tra queste vie e quelle di Secondigliano. Essermi avvicinato così tanto al nido è stata una cosa per me nuova. Il mio infortunio è oramai alle spalle, sto ritrovando passo dopo passo la condizione migliore, c’è un preciso programma stilato con lo staff che mi sta riportando al top della forma. La società è nuova, giovane e ambiziosa, conosco il presidente e vuole fare grandi cose. Ho fatto una scelta soprattutto di cuore, in quanto sono desideroso di dare una mano grazie alla mia esperienza”.
La tua carriera è un libro ricco di capitoli intrisi di momenti intensi e, a tal proposito, è inevitabile menzionare quanto vissuto a Foggia, dove hai diviso con Giovanni Stroppa la stagione della promozione in Serie B.
“Faccio una premessa: la maggior parte dei meriti per quello che si è visto a Foggia in quegli anni va attribuita a una sola persona, Roberto De Zerbi. Ho vinto cinque campionati, ma con quella piazza – così come con Catania – ho un legame particolare, che va oltre il calcio. Stroppa è un allenatore preparato, che arrivò a Foggia in punta di piedi, con umiltà e cercando di muovere poco, mostrando grande intelligenza, perché quella squadra oramai correva spedita verso la promozione: eravamo decisamente più forti dei nostri avversari. Il mister fu bravo – ribadisco – a cambiare poco, concentrandosi soprattutto sul perfezionamento di qualche meccanismo difensivo, ma come dicevo poc’anzi parliamo di un gruppo che andava con il pilota automatico grazie al lavoro fatto con il Maestro De Zerbi, che è unico. È difficile raccontare quanto vivemmo a Foggia, ogni momento è stato unico, tanto con riferimento agli alti quanto ai bassi, sono cose che non si possono spiegare”.
Una maglia, quella dei Satanelli, che hai indossato assieme a Pietro Iemmello, anche lui ora tornato a casa, nella sua Catanzaro. Le qualità del calciatore sono note, ma come lo racconteresti umanamente?
“Pietro per me era ed è un fratellino, abbiamo un rapporto che va al di là del calcio. È un ragazzo dal cuore d’oro, con un carattere indubbiamente particolare, ma è davvero adorabile. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo a fondo e di viverlo come fatto dal sottoscritto non può che pensare che sia una persona speciale. A mio avviso ha fatto meno di quanto avrebbe potuto, ma è ancora in tempo per togliersi grandi soddisfazioni, tenendo comunque in considerazione che siamo al cospetto di un attaccante che è il top per la categoria e che, al contempo, ha sia giocato che segnato in Serie A, dove ritengo avrebbe dovuto militare per almeno dieci anni”.
A proposito di campionati vinti, in quel di Padova trionfasti con Pierpaolo Bisoli, purtroppo per lui fresco di esonero dalla panchina del Südtirol.
“Arrivai a Padova da Foggia e trovai davvero un bel gruppo. Bisoli lo conosciamo tutti, a livello di gioco fa ben poco, ma posso dire che per quanto concerne la componente emotiva è davvero presente, con lui l’asticella dell’attenzione è sempre alta, non ci sono momenti di calo. Ha un altro credo rispetto a quello che pone l’accento sul gioco, bisogna rispettarlo perché è un allenatore vincente: ribadisco, la sua qualità maggiore, secondo me, risiede nella capacità di entrare nella testa della squadra”.
Hai giocato con fior fiori di calciatori, e tra questi c’è un talento – a detta di chi scrive – poco applaudito dagli addetti ai lavori, ovvero Nicolas Galazzi, che nella tua Triestina era un giovane ed encomiabile tuttofare.
“Galazzi fece un campionato importante con noi, nonostante la giovane età. Può ancora migliorare tanto, ha il tempo dalla sua. È un ragazzo umile, che ha i piedi ben saldi sul suolo e lavora tanto. Ha qualità e prospettiva: oggi sono in pochi in grado di fare più ruoli con il rendimento che lui sa offrire. Mi auguro che riesca ad arrivare ancora più in alto”.
La tua storia è costellata di emozioni dalla musicalità in alcun casi stridente. Hai costruito tanto e, al contempo, convissuto con etichette che mai hai chiesto di francobollare sul tuo nome. Ciononostante, oggi siamo qui ad applaudire circa 400 presenze da professionista. Pensi di essere in debito oppure in credito con il calcio?
“Il mio procuratore Willy Arciello, che tra l’altro è una delle persone più importanti della mia vita, dice sempre che qualsiasi altro calciatore al mio posto avrebbe già smesso da tanti anni, perché sprovvisto della forza che io ho invece mostrato. Non so quale sia la mia posizione nei confronti del calcio, se di debito o di credito, ma posso dire che vivo questo sport ancora con amore, passione e divertimento. Quello che sentivo a quindici anni lo porto ancora con me, come certificato dal fatto che mi sono rimesso in gioco a trentacinque anni dopo un grave infortunio. So per certo che ognuno ha quel che si merita, come dico assieme al mio grande amico Antonio Vacca, che reputo un fratello, così come sono consapevole di aver dato tutto al calcio, che per me è vita, famiglia, è un qualcosa all’ordine del giorno. Vivo questo sport a 360°, ne sono totalmente cosparso. Ci sono cose che mi sono state date, altre mi sono state tolte, ma tutto quello che ho fatto ha avuto il mio sudore come carburante: di ciò sono davvero orgoglioso”.