Che fine ha fatto… Francesco Guidolin
La sua Udinese rimarrà per sempre una delle più belle creature che il calcio italiano abbia mai visto, ma Francesco Guidolin è questo e tanto altro ancora. Nella rubrica settimanale “Che fine ha fatto“, oggi parleremo di colui che è stato l’artefice principale della squadra che ha sfornato un indefinito numero di talenti, restando comunque […]
La sua Udinese rimarrà per sempre una delle più belle creature che il calcio italiano abbia mai visto, ma Francesco Guidolin è questo e tanto altro ancora. Nella rubrica settimanale “Che fine ha fatto“, oggi parleremo di colui che è stato l’artefice principale della squadra che ha sfornato un indefinito numero di talenti, restando comunque ai vertici del calcio italiano attraverso una fisionomia che superava il concetto dell’io.
Il mestiere dell’allenatore probabilmente è sempre stato nelle sue vene. Tanto che, dopo una sola stagione in cui aveva deciso di mettere fine alla carriera da giocatore, intraprende quella da tecnico. L’anno 1988-89 rappresenta l’inizio per Guidolin su una panchina. Lo fa nella sua Castelfranco Veneto, alla guida di una delle squadre del settore giovanile della Giorgione. In maniera analoga al percorso da giocatore, anche la carriera da allenatore lo ha visto affrontare un percorso di gavetta importante, che lo ha formato tatticamente e nella gestione del gruppo. Si è alternato infatti tra Serie C2 e C1 sulle panchine di Treviso, Fano, Empoli e Ravenna.
La svolta della sua carriera avviene proprio in Emilia-Romagna. Alla guida del Ravenna, conquista la Serie B grazie al primo posto in classifica nel 1992-93. Questa cavalcata gli vale la chiamata dell’Atalanta in Serie A. Bergamo però, soprattutto in quegli anni, era una piazza le cui difficoltà lasciavano davvero poco margine d’errore. Guidolin paga probabilmente il salto di categoria e dopo dieci giornate la società decide di esonerarlo. Decide di non subentrare in corso su nessuna panchina e ha utilizzato la restante parte di stagione per studiare. Studiare, evolversi e crescere sotto l’aspetto del pragmatismo.
La chiamata giusta è alla porta. Il Vicenza, per la stagione 1994-95, decide di affidarsi a lui e gli consegna la guida sportiva del club. 17 vittorie, 17 pareggi e sole 4 sconfitte gli hanno consegnato un terzo posto che alla fine vale la promozione in Serie A. Qui il consolidamento da tecnico nella massima serie, dove attraverso quei principi che poi lo hanno portato a diventare quel che tutti abbiamo conosciuto, si afferma in pianta stabile. Le tre stagioni successive alla guida dei veneti lo hanno visto raggiungere un 9′, un 8′ e un 14′ posto. Oltre a salvarsi tranquillamente, è arrivato più volte a potersela giocare per un piazzamento europeo.
Reputa l’esperienza veneta conclusa. Oggettivamente appariva difficile fare più di quanto non avesse già fatto e anche per comprendere quale livello avesse raggiunto da tecnico, decide di andare in Friuli, all’Udinese. Al pronti via, la prima stagione con i bianconeri gli vale il sesto posto. Qualificazione alla Coppa UEFA e la piazza ritorna a sognare. Ci sono tutti i presupposti per avviare un ciclo che possa perdurare nel tempo ma divergenze con il presidente Pozzo lo hanno portato alla rottura prima dell’inizio della successiva stagione.
Per lui nel 1998-99 è arrivata la possibilità Bologna, a stagione in corso. In quattro stagioni ha messo in bacheca un 11′ posto, un 10′, un 7′ e ancora un 11′ posto. A fine agosto si è dimesso anche dalla piazza romagnola e cinque mesi dopo è tornato in Serie B. La Serie cadetta è campionato che ormai conosceva bene e in cui è riuscito ad essere incisivo come poche volte è accaduto. Da subentrato a gennaio al Palermo, guida i siciliani al raggiungimento della promozione in Serie A da primo della classe. Qui è rimasto per un’altra stagione, che lo ha portato ancora una volta a raggiungere la Coppa UEFA, senza però godersela visto che alla fine della stagione ha lasciato. Ha deciso poi di provare l’esperienza estera, in Francia, alla corte del Monaco, prima di tornare nuovamente a Palermo per due stagioni.
La carriera di Guidolin è stata lastricata di successi e di traguardi impensabili raggiunti attraverso la forza del collettivo. Eppure dentro di lui qualcosa di irrequieto lo ha sempre portato a prendere e lasciare senza trovare nell’arco della carriera squadra con cui aprire un ciclo di rilievo. Almeno non fino a questo momento. Perché la squadra che realmente gli ha cambiato la vita è alla porta, nuovamente alla sua porta.
Dopo l’esonero a Palermo riparte ancora dalla Serie B, questa volta dal Parma. Ha firmato con i ducali nel settembre del 2008 e al primo anno li ha condotti in Serie A grazie al secondo posto in classifica. Ne ha lasciato il timone dopo la stagione di consolidamento in Serie A con l’8′ posto regalato alla piazza.
Finalmente, verrebbe da dire, di nuovo l’Udinese. Lo strappo con la famiglia Pozzo è stato ricucito al punto che, nonostante un disastroso avvio di campionato che dopo sei giornate lo vedava ultimo in classifica, i proprietari del club non mancano mai di dimostrargli fiducia. Guidolin ha chiuso la stagione 2010-11 al quarto posto in classifica. Rientrando addirittura in lotta per lo scudetto, con il Milan campione che ha chiuso a soli sei punti di distacco dai friulani. La stagione seguente, conquistata una nuova qualificazione in Champions League, con 66 punti ha stabilito il record dei bianconeri in Serie A. Esordio in Champions League, in Europa League, panchina d’oro nel 2012 e l’Udinese che conquista in ordine 4′, 3′ e 5′ posto in classifica. Ma, in seguito al 13′ posto del 2013-14, decide di lasciare la panchina dei friulani per diventare il nuovo responsabile tecnico dei Pozzo che ai tempi possedevano Udinese, Watford e Granada. L’incarico gli è durato meno di un anno, perché il richiamo della panchina è stato forte. Ma lo smalto di un tempo pare essersi smarrito e allo Swansea colleziona due esoneri.
Attualmente, dopo diverse esperienze nel mondo del calcio, per ultime quelle da commentatore tecnico, non ricopre alcun ruolo.