Cremonese, Agazzi: “La nostra è stata la prima squadra a fermarsi. Ripresa? Amo il calcio ma ora penso a chi non ce la fa”
AGAZZI CREMONESE – Michael Agazzi, estremo difensore della Cremonese, ha parlato alla Gazzetta dello Sport, soffermandosi sulla situazione che sta vivendo il paese, in particolare Cremona e Bergamo, sua città natale. Come sta? «Il momento è difficile, se non tragico. E’ morta mia zia e ogni giorno sento di un amico che ha perso un […]
AGAZZI CREMONESE – Michael Agazzi, estremo difensore della Cremonese, ha parlato alla Gazzetta dello Sport, soffermandosi sulla situazione che sta vivendo il paese, in particolare Cremona e Bergamo, sua città natale.
Come sta? «Il momento è difficile, se non tragico. E’ morta mia zia e ogni giorno sento di un amico che ha perso un parente. Ma ci aggrappiamo al luogo comune: il bergamasco che si rimbocca le maniche, lavora e ha un senso del dovere fortissimo. Vero, ma questo è stato anche un problema perché quando tutto è cominciato nessuno di noi voleva stare a casa. E le aziende non potevano chiudere». Bergamo doveva diventare subito zona rossa? «Certo, è facile dirlo adesso. Come è facile dire che è stata Atalanta-Valencia a scatenare l’infezione: i 40 mila di San Siro, i bar strapieni. Non sopporto le polemiche fatte dopo». Cremona? «Quando è scoppiata, l’epidemia non era ancora arrivata a Bergamo. Ma avevamo capito la gravità, il centro di allenamento è vicino all’ospedale e sentivamo le sirene delle ambulanze. Tornati da Frosinone ho telefonato al d.g. Armenia e lui non mi ha fatto finire: “So cosa vuoi dirmi, da adesso niente allenamenti”. La Cremonese è stata la prima a fermarsi. Senza dimenticare che il presidente Arvedi ha finanziato l’arrivo di 60 medici e infermieri per l’ospedale da campo di Cremona».
Ripresa? «Ora è impensabile. Amo il calcio, ma ora penso soltanto a chi non ce la fa, a chi è malato, a chi anche 20 giorni dalla guarigione si sente a pezzi. Il calcio è uno sport di contatto, per ogni partita una società sposta 40-50 persone. Difficile immaginarsi la normalità». Ha avuto paura? «Dopo l’operazione che mi ha tenuto fuori un mese e mezzo, ho fatto la convalescenza a Bergamo e vedevo che faticavo a recuperare, il ginocchio era sempre gonfio. All’ottavo giorno di febbre, ho anche pensato di andare al Pronto soccorso, ma i medici della società mi hanno detto che i sintomi del coronavirus erano altri. Mio padre mi ha detto che noi calciatori non siamo immuni ed è così, gli ho ricordato le parole del professor Burioni: “se un atleta è molto stanco per gli allenamenti, le difese immunitarie si abbassano”».
Sul campionato. «Per noi è stato un mezzo disastro, almeno fino alla vittoria di Frosinone. Siamo rimasti al di sotto delle aspettative. Succede, quando ti senti troppo carico: abbiamo fatto 28-29 partite mediocri. Abbiamo cambiato molti allenatori, quindi bisogna cancellare e ripartire e non sempre si riesce. Si deve cambiare passo, come l’anno scorso: 10 risultati positivi nelle ultime 11, ma la sconfitta di Perugia ci ha negato i playoff». Futuro? «Sono in scadenza, ne riparliamo a giugno. L’estate scorsa avevo qualche dubbio, poi ho deciso di continuare. Ora non so, vivo alla giornata».