Venezia, Joronen: “Questo club ha un progetto con un potenziale incredibile”
JORONEN VENEZIA – Jesse Joronen, estremo difensore del Venezia, ha rilasciato un’intervista ai canali ufficiali del club lagunare. Di seguito – diffuse dal sito ufficiale arancioneroverde – le parole del finlandese: Qual è stata la tua reazione iniziale quando hai scoperto che il Venezia si stava muovendo per ottenerti? Quando ho sentito che erano interessati […]
JORONEN VENEZIA – Jesse Joronen, estremo difensore del Venezia, ha rilasciato un’intervista ai canali ufficiali del club lagunare. Di seguito – diffuse dal sito ufficiale arancioneroverde – le parole del finlandese:
Qual è stata la tua reazione iniziale quando hai scoperto che il Venezia si stava muovendo per ottenerti?
Quando ho sentito che erano interessati a me ho subito pensato che fosse un progetto interessante per quanto riguarda le possibilità sportive e il potenziale per il futuro. I nostri obiettivi, per non dire ovvietà, richiedono molto lavoro, a livello personale, di squadra, e di club. Ma è un progetto con un potenziale incredibile. Sarà fantastico per tutti. Stiamo cercando di creare una cultura per fare le cose diversamente. Ero al settimo cielo quando si è concluso l’accordo e sono arrivato a Venezia. È un’opportunità incredibile per dimostrare nuovamente quanto valgo a questo livello.
Il tuo amico e compagno in nazionale Niki Mäenpää è stato fra i pali a Venezia le ultime due stagioni. Quando sei stato reclutato per prendere i guanti da portiere numero 1, che cosa ti ha detto Niki? Com’è andato il vostro rapporto fino ad ora, dovendo allo stesso tempo competere e supportarvi a vicenda?
Sono molto contento della competizione che c’è con Niki. Sin dalla prima volta che ho giocato con la nazionale finlandese, Niki è stato la prima scelta. L’ho sempre ammirato, e lui mi aiutava, in quanto giovane portiere della nazionale. Ho un grande rispetto nei suoi confronti e sono felice di lavorare con lui. È bello che si sia ripresentata questa opportunità nel contesto di un club. Siamo buoni amici, e mi fa piacere passare del tempo con Niki e Joel (Pohjanpalo). È un bene, ed è raro che succeda all’interno di un club.
In quanto portiere, è fondamentale essere in sintonia con i difensori. Quando arrivi in una nuova squadra, quali passi devono essere fatti per conoscere i ragazzi il prima possibile, e come sta andando per ora?
Ciò che importa è comunicare. Ogni volta che entro a far parte di una nuova squadra, cerco di imparare la lingua il prima possibile. Quando ero molto giovane mi sono trasferito a Londra per giocare con il Fulham, e lì esortavano i portieri a comunicare — il che è sicuramente un mio punto di forza.
Fai cose in allenamento e in partita, parli di ciò succede con la tua linea difensiva, e cerchi di capire qual è il modo migliore di affrontarlo. Non esistono match identici, ma ci sono situazioni che tendono a ripetersi in modo simile, e se si è tutti sulla stessa lunghezza d’onda, si possono gestire meglio. Sta tutto nella comunicazione e nel tener bene a mente cos’è meglio per la squadra.
Come fai a dispensare e ricevere critiche costruttive fra di voi? Specialmente nei panni del nuovo arrivato, come crei la connessione che vi permette di farlo?
In allenamento o in partita, le critiche possono essere molto forti e dirette, ma non è mai qualcosa di personale. Sono sempre stato dell’opinione che, se è costruttiva e l’obiettivo è quello di aiutare la squadra – e non ha a che vedere con l’ego di un giocatore – la critica è sempre concessa, non importa quanto diretta sia. È sempre gradita ed è parte della cultura che vogliamo creare qui – saperlo fare in modo da aiutare velocemente la squadra, ma aiutandola anche a crescere a livello di cultura.
Non importa quanto io urli durante l’allenamento o la gara, il mio obiettivo è vincere. Voglio aiutare il gruppo con quello che dico, e mi aspetto lo stesso dagli altri.
Quanto è importante prendersi responsabilità all’interno di una squadra?
Vogliamo creare una cultura basata sull’impegno. Si tratta sempre di dare qualcosa alla squadra: le tue abilità, la tua capacità mentale, per il suo bene. È fondamentale quando si vuole creare una cultura vincente – e non solo per la squadra in sé, ma per tutto il club. Bisogna mettersi da parte – non nel senso di non contare, ma nel senso che tutti dovrebbero pensare a ciò che è meglio per il gruppo.
Hai vinto un campionato in Danimarca, e adesso stai rincorrendo la promozione. Ci sono delle somiglianze o differenze fra queste due corse? Come si dovrebbe, a livello personale e collettivo, affrontare l’aspetto psicologico di essere costante per tutta la stagione, guardare a ciò che fanno le altre squadre, e così via?
È la stessa cosa, cercare di vincere un campionato e la promozione. Bisogna creare una cultura, uno stile di gioco, e svilupparlo. Devi cercare di sviluppare il tuo metodo ogni singolo giorno. Può succedere che tu venga distratto dall’obiettivo, e la cosa più importante per un giocatore è di restare concentrato sul suo compito. Questo richiede una notevole disciplina mentale, che è estremamente importante a prescindere dal risultato. Bisogna focalizzarsi sul proprio metodo – la prossima ripetizione, allenamento o match – è tutto ciò che importa. E bisogna farlo quotidianamente al massimo livello. Se lo fai, l’obiettivo arriverà da sé.
Come e dove hai sviluppato la tua disciplina mentale? Hai 29 anni e sei all’apice della tua forma, ma quand’è che ti sei reso conto di dover operare ad un certo livello per continuare a dare il meglio?
La mia identità di giocatore si è iniziata a formare in Inghilterra, al Fulham. Ho subito molti infortuni – due al ginocchio, e in otto anni lì sono stato fuori uso per un totale di tre anni a causa di essi. In quel periodo, mi sono concentrato sulla componente psicologica del gioco e sulla mia crescita personale. Ho preso coscienza di me stesso, dei miei compagni e del bene della squadra.
Da quel momento in poi, una volta guarito dagli infortuni al ginocchio, ho iniziato a prepararmi per la prima squadra ed è arrivata l’opportunità di giocare con l’AC Horsens in Danimarca. Mi sono sentito libero perché mi ero preparato mentalmente, fisicamente ed emotivamente per quella sfida. Ha funzionato bene, perché, dopo cinque mesi all’Horsens, sono riuscito a firmare con l’FC Copenhagen, che è il club più importante di tutta la Scandinavia.
Come hai gestito tua salute mentale durante gli infortuni che ti hanno tenuto fermo così a lungo durante un periodo di formazione importante nella tua carriera?
Bisogna sempre trovare il modo di accettarlo. Ho trovato dei mezzi, con il supporto del nostro psicologo sportivo del tempo. Mi ha introdotto alla meditazione, tecniche di respirazione, e visualizzazione. Ciò mi ha tenuto occupato in un periodo in cui ero fuori uso. Sono migliorato grazie alla riabilitazione, e ho anche fatto un lavoro psicologico. È stato fondamentale.
Si può sviluppare resilienza, ma solo in presenza di sfide. Le persone tendono a preferire la comodità, bisogna esserne consapevoli. Ma se si resta nella propria zona di comfort, si smette anche di crescere. Devi fare uno sforzo, e gli allenatori sono lì per aiutarti. Questo è il genere di cultura che vogliamo creare.
Questa è la tua quarta stagione in Italia, e la terza in Serie B. Come pensi ti possa aiutare la tua conoscenza del campionato quest’anno? Cosa vuoi trasmettere ai tuoi compagni?
Puoi chiedere anche a loro – mi faccio sentire. Anche nei momenti in cui probabilmente non vorrebbero sentire nulla, io glielo dico. Ci sono cose di cui si parla per aiutare la squadra. È fondamentale avere più informazioni possibili sugli avversari per essere pronti ad affrontarli.
La tua abilità nelle parate è stata subito evidente al Venezia. Secondo te, quanto di questo dipende dallo studio e preparazione per far fronte ai tuoi avversari, e quanto dal saper leggere la situazione e reagire al momento?
È una combinazione di entrambe. Il cervello è un computer, e se ci metti dentro tante immagini, sei in grado di trovare dei pattern che ti permettono di reagire velocemente in situazione di gioco. In quanto portiere, quando hai più esperienza, si tratta più delle letture, di vedere le tendenze e fiutare il pericolo, che della reattività.
Abbiamo assistito ad un cambiamento nell’analisi calcistica e in come registriamo le informazioni. Com’è cambiata la tua preparazione rispetto all’inizio della tua carriera?
Ad essere onesto, non c’erano molti filmati quando abbiamo iniziato – almeno non per me. Se avessi avuto i mezzi attuali, avrei fatto ciò che faccio ora. Guardo gli attaccanti, gli schemi, le tendenze, come pressano e giocano come squadra, che tiri preferiscono. Da lì, mi concentro sui singoli giocatori e ciò che gli piace fare. L’ho fatto per buona parte della mia carriera, e non lo cambierei.
Come si è evoluta la tua routine di allenamento man mano che sei maturato come giocatore? È vero che inizi ad allenarti un’ora prima per fare stretching?
Ho iniziato al Fulham. Avevamo un ottimo centro di allenamento, tutte le strutture – con inclusi perfino colazione e pranzo. Mi ritenevo molto fortunato a giocare a calcio di professione. Osservavo le persone che lavoravano in ufficio; all’interno del club o in qualsiasi altro posto nel mondo, tutti lavorano per otto ore o più al giorno. Io pensavo che aggiungendo un’ora prima dell’allenamento o un paio dopo, è comunque un giorno più breve della maggior parte delle persone. Ma anche in altri momenti, cerco comunque di migliorarmi.
Man mano che sono maturato e ho conosciuto sempre meglio gli aspetti fisici del mio corpo, sono in grado di essere la mia miglior versione in allenamento o quando inizia la gara. Per aiutare la squadra, devo prendermi cura del mio corpo. Voglio crescere. Anche se ho 29 anni, voglio migliorare e trovare la risposta alla domanda che mi sono fatto lasciando casa mia.
Qual era la domanda?
Quanto forte posso diventare?
E quando troverai la risposta?
Il giorno che smetterò, lo saprò.