1 Luglio 2023

Luca Tremolada, l’eleganza sopra ogni cosa

Uno degli ultimi Numeri Dieci

FC Modena

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Lo sosteneva Antoine Lavoisier, iniziatore della chimica moderna, secondo il quale la materia è – in estrema sintesi – indistruttibile, dato che ciò che cambia non è l’essenza ma la forma. Quella che è nata con un’asserzione di chiaro stampo scientifico è diventato poi un concetto senza confini settoriali, applicabile in ogni scompartimento della vita (e inflazionato dai social, bisogna esserne consapevoli), con il calcio che di conseguenza ha alzato il dito per mostrare come questo sia applicabile anche al gioco di Eupalla.

La trasformazione del concetto di Numero Dieci

Riprendendo l’introduzione, dunque, è lapalissiano riuscire a notare e al contempo comprendere con chiarezza che lo sport più seguito al mondo, per il solo fatto di esistere ed essere trasportato dal torrente del tempo, cambia. È vero: resta, emoziona, scuote, tratti comuni a ogni epoca, ma in egual misura vede dei parametri e delle richieste modificarsi, spesso con netti ribaltamenti. Il concetto di Numero Dieci è una delle più intuitive e probabilmente corrette applicazioni di questo discorso ricco di spunti.

Il Dieci (da Pelé in poi) è stato una presentazione, più che un numero. Indossare quella casacca fondeva ruolo, caratteristiche, oneri, responsabilità, ma soprattutto raccontava magia. Essere il Diez spesso raccontava storie migliorate dall’estro, liberava da ogni forma di catena, faceva percepire una differenza indotta dal riconoscimento di quella declinazione di qualità tanto estetica quanto funzionale.

Negli anni, soprattutto nell’ultimo ventennio, ciò è cambiato. Ai trequartisti è stato chiesto di immaginarsi sul sintetico e non più sulla polvere, modificandone i compiti e inserendone le movenze in spartiti più definiti e codificati, quando invece in precedenza erano loro a dover scompaginare gli eventi. Una situazione che i recentissimi cambiamenti metodologici stanno nuovamente aggiornando, dato che gli allenatori-formatori della nuova generazione stanno cercando di allenare attraverso i contesti, permettendo alla tecnica e alla scelta di dominare la scena, ma che ad ogni modo è diametralmente opposta rispetto alla nascita narrativa proprio del Numero Dieci.

Il cambiamento ha ancora più valore quando si incrociano nel cammino personificazioni che non hanno stretto la mano all’aggiornamento, convinte delle proprie idee e mosse unicamente dalle proprie emozioni, senza alcun compromesso con la modernità. Luca Tremolada, che finalmente introduciamo, è decisamente un archetipo del genere.

Mi ritengo uno dei pochi, veri, numeri dieci rimasti“. Proprio il #10 del Modena ha pronunciato queste parole, perché la realtà è questa: l’aggettivo “vero” utilizzato dal calciatore dei Canarini ci chiede di voltarci indietro e guardare al passato, all’eleganza sopra ogni cosa, alla sinuosità dei movimenti e la bellezza di un’imbucata. Tremolada con il pallone dialoga, non c’è alcuna relazione proprietario-strumento, come se il classe ’91 riconoscesse un forma di sacrale rispetto verso un’entità, più che una sfera.

La heatmap stagionale di Tremolada

Questa purissima forma di amore, caratterizzata tra l’altro da notevole efficacia, dato il fatturato tecnico del calciatore, si manifesta nella pulizia delle sue traiettorie, che seguono rotte in grado di alzarsi in aria e arrestarsi nell’esatto punto in cui poter essere fatali per gli avversari e salvifiche per chi deve beneficiarne. Il tutto con una leggiadria – ecco la conferma – da Numero Dieci di un tempo. Prestazioni che, per finezza, risultati e coinvolgimento emotivo, non aiutano a comprendere come la carriera di questo calciatore non gli abbia concesso più copertine di quelle meritatamente già avute.

Innamorato di Guti e One Piece, Iniesta e Trafalgar Law, Luca Tremolada ha davvero ragione: è uno dei pochi, veri, numeri dieci rimasti. Che privilegio poter godere di quel mancino ansioso di cose proibite, convinto di mettere l’eleganza sopra ogni cosa, augurandoci di non aver mancato di rispetto alle mani cantate dal grande Claudio Baglioni e dall’amore raccontato dall’eterno Fabrizio De André.