Marchetti a PSB: “Nelle ultime due abbiamo tamponato l’emorragia. Cassano? Parla poco e lavora tanto, prevedo per lui un grande futuro”
Le parole di Marchetti ai nostri microfoni
Marchetti, dg del Cittadella, ha partecipato al nostro format sulla Fiera del Calcio, in onda tutti i lunedì alle 17 su Twitch. Di seguito le sue parole ai microfoni di PSB:
Nonostante il momento difficile, il Cittadella raramente ha meritato epiteti negativi. L’idea è il vostro dodicesimo uomo e non riuscire a vincere porta inevitabilmente ad una mancanza di coraggio. Come state gestendo questo periodo?
«Purtroppo anche quando giochi bene e non fai risultato per via di qualche episodio sfortunato come un palo, un goal sbagliato, o viceversa un calcio piazzato, la negatività arriva. Soprattutto in una squadra come la nostra devi essere perfetto a livello di prestazione. Difficilmente ci capita di vincere con una giocata individuale, i nostri successi li abbiamo costruiti in maniera corale. Quando vieni da tutti questi risultati negativi, cominci a giocare con un po’ di paura.
Sabato ad esempio abbiamo fatto un primo tempo buono, però più passava il tempo, l’ultimo quarto d’ora, ho visto la squadra in difficoltà sotto l’aspetto psicologico: era più la paura di perdere che il coraggio di vincere, ragionevole quando hai tanti giovani. Ne veniamo fuori lavorando sulla testa. I due pareggi sono un brodino, ma oggi va bene. Mantenere la categoria in momenti di difficoltà è un grandissimo risultato per il Cittadella. A salvezza raggiunta, tutta questa paura magari scompare e inizi a giocare con la testa libera, e in quel caso possiamo diventare pericolosi. Adesso dobbiamo saper gestire il momento, portando a casa punti.
Io sono un coraggioso, mi piace vincere giocando bene, rischiando, mi piace un calcio offensivo, però la capacità di capire i momenti è importante: quando non puoi vincere, non devi perdere ed è quello che è successo nelle ultime due partite. Siamo stati meno brillanti, meno belli rispetto alle gare con Ternana e Sampdoria dove abbiamo perso, però abbiamo tamponato questa emorragia, cercando quel risultato positivo che ci permetterebbe di fare un finale di stagione più tranquillo, giocando un calcio simile a quello del girone d’andata».
A suo avviso com’è possibile migliorare la comunicazione in B riguardante i controversi errori arbitrali verso i tifosi e voi addetti ai lavori, cosa che avviene regolarmente in massima serie?
«Difficile trovare una soluzione. Posso dire che ci deve essere un rapporto di trasparenza, dove gli errori arbitrali fanno parte del gioco. Quello che non mi piace è la disparità di gestione in alcune partite, ad esempio ammonisci da una parte e non dall’altra. Il nostro marchio di fabbrica è essere aggressivi e in tal caso qualche fallo in più lo fai, cercando di pressare in avanti e rubar palla, ma spesso passa il messaggio che il Cittadella sia una squadra fallosa, così al primo fallo l’arbitro ammonisce. Sono cose che mi fanno rimaner male e a volte ci hanno penalizzato.
Il dialogo con l’arbitro è molto difficile e a volte quando chiedi spiegazioni vieni frainteso. Quando trovi l’arbitro che ha questa capacità di dialogo, le gare scorrono via senza grossi problemi e accetti anche di più gli errori; quando vai al muro contro muro ti senti impotente anche perché devo dare delle spiegazioni al presidente, ai miei giocatori ecc. Per un periodo decisi di non espormi e il presidente mi disse: “I giocatori hanno detto ma chi ci sostiene qui?”. Queste son tutte cose che si dicono nelle riunioni “più dialogo ecc”, ma poi sostanzialmente le cose cambiano poco: l’arbitro mette il muro, noi dirigenti siamo troppo veementi, quindi ci vorrebbe il buon senso da tutte le parti. La cosa migliore sarebbe conoscersi, se tu conosci e hai stima di chi ti si pone davanti, anche il modo di pensare cambia».
Che futuro vede per Claudio Cassano?
«Oltre al talento abbina una capacità e una maturità per la sua età che mi ha stupito. Anche in un momento così delicato dove c’è un po’ di tensione, ha una personalità tale che gestisce bene anche le difficoltà contingenti. Difficilmente sbaglia la partita perché si emoziona o ha paura, è condizionato dal momento o ha il timore di sbagliare la giocata. Parla poco e lavora tanto, acquisisce gli imput in maniera rapida, nella Primavera della Roma giocava in un altro modo e si è adattato da noi in un altro ruolo in brevissimo tempo. A volte è stato penalizzato dalla squadra che non è riuscita a metterlo nelle giuste condizioni per esprimersi, ma sicuramente avrà un grandissimo futuro».
Da dove nasce la mentalità del club di dare continuità e far quadrato attorno all’allenatore nonostante il momento difficile? E secondo lei il ciclo Gorini può andare avanti anche in futuro, vista la comunione d’intenti tra le parti?
«È una mentalità che abbiamo da sempre, acquisita e condivisa con il presidentissimo, il papà dell’attuale presidente, da cui parte tutto, ovvero Angelo Gabrielli. Io ricordo che con Maran – avevo appena iniziato – perdemmo 5/6 partite di fila e lui col suo modo di fare molto equilibrato entrò nello spogliatoio e disse tre parole molto semplici: “Noi qui abbiamo dei valori e se dobbiamo retrocedere lo faremo con il nostro allenatore”. Non ha detto se vinciamo, quindi ha messo i giocatori nella posizione di capire che questo era l’allenatore, che non sarebbe andato via e che la proprietà aveva piena fiducia in lui. Quel valore lì fu ripagato ed è entrato nel nostro modo di ragionare.
Quando fai delle scelte a monte, punti sulla persona. Con Gorini ho un rapporto lungo, lo conosco benissimo, so che valore ha e quanto può dare alla causa con uno staff di ex compagni che hanno giocato qui. Credo che il senso di appartenenza alla lunga ci aiuterà. Nei momenti difficili dobbiamo stare uniti. Io credo che un allenatore vada esonerato quando non ha più in mano la squadra e non è più ascoltato dai giocatori. Questo non è mai successo qui: i vari Foscarini, Venturato, lo stesso Gorini hanno la fiducia perché ci abbiam sempre creduto. Questo modus operandi ci ha sempre ripagato e spero succeda anche quest’anno».
Siamo in un processo ultradecennale di utilizzo dati per fare scouting, sia a livello di Prima Squadra che giovanili. La sensazione è che nel vostro caso l'”occhiometro” sia ancora ben radicato, rispetto a tanti club italiani dove l’intelligenza artificiale fa già una prima scrematura e l’occhio ha l’ultima parola. Alla luce di tanti esempi come Antonucci, Maistrello, Carissoni, Negro, che nelle precedenti stagioni in C o in Primavera non davano le stesse sensazioni di oggi, come lei e i suoi collaboratori riuscite a mescolare il dato con le sensazioni di campo?
«Sono cresciuto con questo modo di vedere il calcio. La tecnologia è un supporto importantissimo, non va assolutamente condannata, perché non possiamo essere dappertutto, quindi riuscire a guardare tante gare in video aiuta, ti permette di farti una pseudoidea. Mai però prenderei un giocatore senza prima averlo visto dal vivo, perché quella secondo me è la sensazione decisiva per sceglierlo. A video non puoi vedere determinate sfumature che non si limitano ai passaggi in verticale o alla forza nel gioco aereo; importante è l’aspetto emozionale: come il giocatore sa stare in campo, come legge l’azione, la personalità dentro la partita, aspetti che fai fatica a percepire in video.
Sarà anche una questione di fiducia, con tutto il rispetto, mi fido di me, la faccia ce la metto io. Un giocatore che ha talento, ma non sa stare in un gruppo, non ha le caratteristiche morali giuste, fa poca strada. Ha sempre svoltato chi si è messo in discussione, ad esempio poter non giocare ed essere utile al gruppo lo stesso. A Cittadella trovano terreno fertile, ma poi devono metterci del loro. Anche l’informazione riguardante il carattere del ragazzo può fare la differenza».
Tra le tante punte lanciate, su chi ha più rimpianti in merito al loro percorso di crescita? Diaw, Moncini?
«Io credo che Diaw e Moncini si siano confermati nella categoria, hanno mantenuto le aspettative, diventando dei goleador. Anzi il Cittadella è stata la molla giusta per far capire il loro potenziale, perché a volte il giocatore non sa di essere bravo, poi viene qui e capisce che ci può stare in questa categoria, e lì scatta qualcosa dentro per fare il salto di qualità. Alcuni invece si sono persi: Piovaccari da noi fece il capocannoniere in campionato e poi via da Cittadella si è un po’ perso. Ci sono giocatori che hanno dato tanto al Cittadella, ma è stato soprattutto il Cittadella a dare qualcosa a loro. Il contesto li ha portati a diventare giocatori forti. Poi ce ne sono altri con meno altisonanza ma altrettanto determinanti, penso a Iori: è stato un capitano importantissimo per questa squadra e ha fatto crescere i giovani attorno a lui».
Infine un pensiero su Varnier, ragazzo molto sfortunato.
«È il giocatore con le potenzialità più importanti transitato da noi. Se non avesse avuto gli infortuni che ha avuto, secondo me sarebbe uno dei centrali della Nazionale Italiana in questo momento. Purtroppo la sfortuna l’ha penalizzato in maniera forte, e gli ha tolto tanto. Era uno di quelli che dici questo può arrivare non in Serie A, ma in Nazionale. È un ragazzo strepitoso e sono enormemente dispiaciuto per quello che gli è successo. È ancora giovane e sta giocando con continuità, quindi gli auguro di ritrovare la Serie A, la può ancora riagganciare».