Garbato, ma non troppo – Il mercato serve ad allestire squadre, non a comprare calciatori. Qualcuno ancora lo ricorda?
La deriva delle trattative sta colpendo anche la Serie B
C’era una volta il calcio, anche quello opulentissimo berlusconiano puramente italiano, poi arrivò la Premier League. Solo un folle criticherebbe il movimento inglese nel suo complesso, un business vincente che coniuga in modo irripetibile la passione ancestrale dei propri tifosi e la bramosia economica dei maggiori investitori internazionali. La ricetta perfetta, la bolla che tutti si augurano non scoppi mai. C’è un aspetto di questo modello, però, che non smetterà mai di suscitare stupore spingendoci a chiedere in che direzione stia andando lo sport più seguito del nostro Paese: il calciomercato.
Non è un discorso moralista o populista: nessuno sindaca riguardo alla cifre investite, i controlli degli enti preposti sono più puntuali e basati su regole più stringenti rispetto all’Italia. Si spende perché si incassa, e va benissimo così. Ciò che lascia esterrefatti è la costante e sostanziale incapacità di assemblare una rosa vagamente completa pur disponendo di capitali sterminati. Si inseguono nomi opinabili per mesi, vincendo aste assurde per ruoli in cui si è grossomodo coperti e poi si dimenticano rinforzi laddove sono indispensabili per dare competitività a un undici titolare. Una tendenza inquietante, figlia di una competenza nello scouting prossima allo zero.
In Italia le cose sono molto diverse, ci si difende grazie a ottime idee che vanno a limitare il gap economico e a esaltare calciatori che migliorano grazie alla mano degli allenatori. Beppe Marotta, Pantaleo Corvino, Guido Angelozzi e Stefano Marchetti sono dei maestri di concretezza calcistica. Due di questi siamo onorati di averli in Serie B, il passaggio del direttore del Lecce ormai salito al piano superiore è stato di ispirazione per tutto il movimento. Accanto alle eccellenze, però, mai come quest’estate ha iniziato a diffondersi una cultura che pone l’acquisto del calciatore al di sopra dell’assemblaggio della squadra.
Si potranno comprare sia Gennaro Tutino che Massimo Coda avendo in rosa come unico centrale di comprovata affidabilità il non più giovanissimo Simone Romagnoli? Davvero si può spendere più di 2 milioni per Jari Vandeputte per affidarlo a un allenatore come Giovanni Stroppa che utilizzando il 3-5-2 non può che adattarlo fuori ruolo depotenziando quanto di magnifico ha mostrato a Catanzaro? I giallorossi stessi potranno davvero acquistare Andrea La Mantia l’ultimo giorno di mercato disponendo di 3 attaccanti centrali di livello in buone condizioni invece di completare un pacchetto difensivo giovane e incerto? Al Palermo serviva davvero un doppione (o più) per ruolo se poi valori alla mano i titolari sono gli stessi che nella scorsa stagione hanno palesato limiti? Il Pisa ha speso 3 milioni per l’attaccante centrale Alexander Lind pur avendo in rosa un Nicholas Bonfanti in stato di grazia e pronto all’ascesa e due rincalzi come Jan Mlakar e Stefano Moreo: perché?
C’è tanto di buono da prendere dall’Inghilterra sul piano infrastrutturale, commerciale, comunicativo. Tra tutte le rivoluzioni sensatissime che rilancerebbero il prodotto sembra invece che si stia assorbendo la più scialba delle mode. Ciò toglie equilibrio alle squadre, magia al gioco e carriera ai calciatori. Asserragliati in contesti in cui per loro non c’è spazio, sprecano anni preziosi in nome di una mania dell’accumulo che svuota il calcio di senso. La Serie B è ancora un contesto bellissimo, ma non bisogna ignorare il problema così da elaborarlo e poter correggere il tiro quanto prima.