Reggina, il ricordo di Mozart: “Ad ogni goal il Granillo ti abbracciava. Menez ha portato entusiasmo”
MOZART REGGINA GRANILLO – Intervenuto sulle colonne della Gazzetta dello Sport Santos Batista Mozart, ex centrocampista e capitano della Reggina, ha ripercorso alcune fasi della sua importante esperienza in amaranto toccando numerosi temi. Queste le sue parole da StrettoWeb.com: “La Calabria è casa mia. Ho vissuto cinque anni magici. Oggi, con quella squadra, ci qualificheremmo […]
MOZART REGGINA GRANILLO – Intervenuto sulle colonne della Gazzetta dello Sport Santos Batista Mozart, ex centrocampista e capitano della Reggina, ha ripercorso alcune fasi della sua importante esperienza in amaranto toccando numerosi temi. Queste le sue parole da StrettoWeb.com:
“La Calabria è casa mia. Ho vissuto cinque anni magici. Oggi, con quella squadra, ci qualificheremmo in Europa League a mani basse. A Reggio bevevo 10 caffè al giorno, i tifosi mi riconoscevano e poi mi portavano al bar. Me l’hanno insegnato loro”.
“L’arrivo in Italia? Vent’anni fa, estate 2000. Il Curitiba mi aveva appena ceduto al Flamengo, che aveva offerto più soldi rispetto al Valencia di Mendieta. Andammo in Spagna per un torneo di fine ritiro, alcuni scout della Reggina erano lì per visionare il nostro terzino, ma giocai talmente bene che alla fine acquistarono me. Era destino. Prima, però, l’Olimpiade col Brasile, altro squadrone. Io in mezzo, Ronaldinho e Alex sulla trequarti. C’era anche Lucio, ma a quei tempi era la riserva di Bilica. Uscimmo ai quarti contro il Camerun d’oro di Eto’o e Mboma. Luxemburgo mi stimava, se fosse rimasto sarei andato al Mondiale…. Poi Reggio, appunto, e il Granillo. Ogni gol un boato immenso, quasi ti abbracciava, nel 2004 rifilammo due gol alla Juve di Ibra. Ho cambiato casa più volte, ma Pellaro mi è rimasta nel cuore. Aprivo la finestra e vedevo il mare, come oggi a Maceió. Sono rimasto italiano, anche grazie a compagni storici che sento ancora oggi: Parades, Mamede, Balestri, Bonazzoli. Fortissimo. Ricordo un suo gol alla Van Basten”.
NAKAMURA, FOTI E MAZZARRI – “Nakamura altro sinistro di Dio, una sentenza su punizione. In tre anni non ha mai parlato italiano, aveva l’interprete per ogni cosa. Scherzi a parte, ricordo un bravo ragazzo. Timido, educato, riservato. Difetti? Beh, era un po’ tirchio. Non ha mai pagato una cena…. Lillo Foti? Numero uno. Non si perdeva un allenamento. In Brasile non è così, i presidenti sono più distanti, mentre lui era sempre al campo. Chiedeva di noi, delle nostre famiglie. Nel 2005 non mi avrebbe mai venduto, ma era finito un ciclo e andai allo Spartak Mosca. Mi volevano Roma, Fiorentina e Juventus, ma scelsi la Russia. Lui mi accompagnò. Ricordo che ogni tanto, col sorriso, mi chiedeva se ci avessi ripensato. Mazzarri un fenomeno. Se oggi alleno è anche merito suo. Giocai alla grande quella stagione (2004-05, ndr.), con lui avevo un bel feeling. Preparavamo le partite insieme a volte, aveva uno stile tutto suo. E poi fumava in continuazione, c’erano sigarette dappertutto…”.
“Nel 2001 retrocedemmo in B, un casino. Era il primo anno in Italia, i tifosi scesero in piazza a contestare dopo lo spareggio perso col Verona. Ci dissero di tutto, mi diedero dello scarso. L’anno dopo, però, tornammo subito in Serie A. Diventai capitano e il rapporto cambiò”.
“Se sceglierei ancora la Russia? Assolutamente no, è l’unico rimpianto che ho. Ho giocato lì per quattro anni (2005-2008 ndr), ma la mia famiglia non era contenta. A Reggio avevo tutto a portata di mano, a Mosca per spostarmi mi serviva un’ora. Poi il freddo, i tifosi, la squadra. Niente, non andò, così alla prima occasione tornai in Brasile. Non l’avessi mai fatto. Dopo sei mesi chiamò il Livorno e accettai subito, l’Italia mi mancava. Poi però arrivò il ritiro a 31 anni, ormai il ginocchio non ne aveva più. Non riuscivo ad allenarmi, a giocare una partita intera, così mi fermai e tornai in Brasile. Per un po’ sono stato bene, poi sono rientrato a casa”.
Chiusura riguardo l’esperienza sulla panchina amaranto: “Non lo rifarei. Eravamo io e Ciccio Cozza, la coppia d’oro dei bei tempi, ma non andò come speravo. Lo ammetto, fu anche colpa mia: non ero pronto, avevo troppa fretta di far bene e di impormi, quando in realtà non avevo esperienza. Scelsi col cuore e non con la testa, ma sogno di allenarla. Tra i miei modelli ci sono il Sassuolo di De Zerbi e Maurizio Sarri. Poi è chiaro, la Reggina è nel mio cuore, ma serve tempo. La città si sta riprendendo, è tornata in B e ha un progetto solido. Menez ha portato entusiasmo, spero salga in A. Perché tra qualche anno mi vedo lì con la mia gente”.