ESCLUSIVA PSB – Dai Dilettanti al Mondiale: il racconto di mister Senigagliesi, tra i primi a credere in Cheddira
Il racconto di quello che fu uno dei primissimi tecnici a puntare con forza su un giovanissimo Walid
Resilienza, lavoro, determinazione, umiltà e fame. Sono solo alcuni degli ingredienti che hanno caratterizzato il tanto tortuoso, quanto ammirevole, percorso di Walid Cheddira. Partito dai dilettanti, l’attaccante del Bari è riuscito – a suon di goal, prestazioni di livello e abnegazione – ad affermarsi tra i professionisti in una manciata di anni e a strappare la meritatissima convocazione del Marocco per gli imminenti Mondiali in Qatar.
Un percorso, quell’attaccante nativo di Loreto, da apprezzare, esaltare e raccontare con forza ai più giovani, e non. Un esempio non solo sul piano sportivo per i tanti ragazzi che faticano a emergere in questo sport, ma anche nella vita di tutti i giorni, spingendoci a comprendere come col sudore e la ferma convinzione di non mollare mai, anche gli ostacoli apparentemente più insormontabili possano essere superati, al fine di perseguire i nostri obiettivi. Un’importantissima, nonché decisiva, impronta nel cammino del classe 98′ l’ha senz’altro lasciata mister Stefano Senigagliesi il quale, ai tempi tecnico della Sangiustese, fu tra i primissimi a credere in un giovanissimo Walid, rimanendo a tutti gli effetti sportivamente folgorato dal calciatore e decidendo di puntare tutto su di lui.
Un rapporto che, innanzitutto, nasce e si consolida soprattutto al di fuori del campo di allenamento: “L’ho avuto per due anni tutti i giorni in macchina al mio fianco e, pertanto, credo che ci sia stato tra di noi un rapporto intenso e molto bello. Da quando lui è esploso, però, io mi sono totalmente defilato, perché dal mio punto di vista credo che un buon maestro debba saper riconoscere quando un allievo ha intrapreso un percorso diverso. Penso che sarebbe stato ingiusto vivere di qualcosa che non fosse merito mio. Alcuni pensano che dove compaia un talento, automaticamente si avvistino i maestri. Io, invece, la penso esattamente al contrario: la fortuna di chi viene definito “maestro” è proprio quella di incontrare il talento stesso. Io ho avuto solo la grande fortuna di incontrare Walid”
Un vero e proprio colpo di fulmine, il suo, nei confronti di Walid: “Lo abbiamo notato a margine di un campionato di Eccellenza. Molti ci criticarono sulla scelta di puntare su di lui, ma noi eravamo convinti di aver preso un ragazzo di prospettiva. Che arrivasse a questi livelli, però, ero stato l’unico a crederci sin dall’inizio, e questo tutti dovrebbero confermarlo. Scherzando, infatti, dicevo: “Il giorno che allenerò il Real Madrid, mi porterò dietro Walid Cheddira”. Ero convinto che, “pure in Serie A, se entra anche per un quarto d’ora o dieci minuti, Walid è un giocatore che spacca le partite e può creare problemi a qualsiasi difesa”. Era un ragazzo che possedeva una tenacia e una determinazione senza eguali, poi umile, diligente, educato, disponibile, e non so più quante dirne…(ride)“
Come quasi tutti i veri colpi di fulmine, anche questo si concretizzò in maniera quasi casuale: “In effetti è andata proprio così. Io allenavo in Sardegna in Serie D, a Muravera, e alla fine dell’anno andai a vedere la finale playoff di Promozione locale. Lui giocava al Loreto: lo vedo e, forse qui qualcuno aveva ragione, poteva sembrare tutto fuorché un giocatore di calcio in quel periodo. Io, però, rimasi colpito dalla sua tenacia, dal suo istinto e dalla sua personalità. Finì tutto lì. Poi, io torno ad allenare in Sardegna, e l’anno dopo, su invito di un amico, mi recai a vedere nuovamente il Loreto, questa volta in Eccellenza. Ci andai esclusivamente con l’idea di rivedere Walid. Rimasi sorpreso, ripeto, dalla personalità di un ragazzo così giovane”.
Scusi mister, ma perché dice che in quel momento tutto potesse sembrare, tranne che un calciatore? “Perché strutturalmente, fisicamente, stilisticamente e anche a livello di coordinazione dei movimenti non sembrava un calciatore. Considera, però, che all’epoca aveva appena 16 anni ma già faceva caterve di goal in Promozione e in Eccellenza, il che non è poco“
E quali furono le sue impressioni dopo la suddetta partita? “L’ho rivisto e mi ha confermato le stesse impressioni della prima volta che ti ho precedentemente raccontato. A fine anno, tornai ad allenare nella mia regione, le Marche, alla Sangiustese: qui, con il presidente Tosoni e il direttore sportivo Proculo, parlammo del ragazzo e ci convincemmo che puntare su di lui fosse una scelta azzeccata. L’anno dopo, una società di Serie D come la nostra, ebbe il coraggio di puntare su un fuori quota come Walid come unico attaccante in rosa. Gli abbiamo dato grandissima fiducia, e lui l’ha ripagata in maniera straordinaria. Tutti i suoi compagni di allora gli hanno voluto, e gli vogliono, ancora bene e sono felicissimi del suo successo. Si è meritato tutto, credimi: ha ottenuto questo lavorando con serietà, andando a scuola, con educazione e intelligenza. Walid merita tutto quello che sta ricevendo. E’ un ragazzo che ha tutto”
Tantissimi pregi per un calciatore e un ragazzo, come possiamo capire dalle sue parole che trasudano affetto e sincerità, speciale. Qual è però, tra questi, quello che secondo lei gli ha permesso di arrivare fino in Qatar? “La tenacia. Wal è un leone, un ragazzo che anche se sbaglia o fa errori ha la capacità di non demordere mai. Non si abbatte, non perde mai la fiducia in sé stesso e crede tantissimo nelle proprie qualità. Questi sono i suoi aspetti migliori dal punto di vista caratteriale”
Cosa, invece, ha pensato che dovesse correggere nel momento in cui lo ha accolto nella sua squadra? “Quando lo ebbi finalmente a disposizione, notai che forse aveva ancora qualche difficoltà nel decidere velocemente. Era uno che giocava di forza e decideva, di conseguenza, troppo lentamente nella singola giocata. Quando lo abbiamo inserito gradualmente nella complessità lui, allenandosi continuamente su questo, è migliorato tantissimo sotto il profilo decisionale. Costringendolo a giocare e scegliere velocemente, il ragazzo ha dovuto di conseguenza migliorare anche la coordinazione, la quale è cresciuta e migliorata con il gioco: all’interno del gioco, infatti, Walid ha trovato tutte quelle dinamiche necessarie per migliorare, di cui aveva bisogno. Dal mio punto di vista, Cheddira era un ragazzo che, per troppo tempo, si era allenato in modo selettivo, svolgendo magari troppe attività prettamente condizionali che gli avevano impedito di lavorare sui propri difetti, e migliorarli. Difetti, ribadisco, strutturali. Per il resto, era già stato allenato benissimo da tutti gli altri allenatori che mi avevano preceduto, i quali mi avevano aperto la strada. Io dovetti fare solamente poche cose, perché loro ne avevano già fatte tantissime altre”
Si aspettava che Walid arrivasse un po’ prima in Serie B?
“Non è stato, il suo, un percorso tardivo. E’ stato tutto giusto, perché Walid aveva bisogno dei giusti tempi di apprendimento e adattamento. Lui non ha un vissuto storico da settore giovanile “professionistico”, e tutto quello che ha fatto, lo ha fatto da solo, accorciando il gap di differenza che c’era magari con alcuni ragazzi che andavano in Serie C dopo aver fatto anni nelle giovanili della Juventus, della Roma o della Lazio. Parlando con il suo procuratore, Bruno Di Napoli, persona per bene che consigliai io stesso a Wal, gli dissi che il ragazzo avesse bisogno di fare un percorso ad hoc, proprio per recuperare il gap di cui ti parlavo e che avrebbe spaccato di più in Serie B che in C. In terza serie, necessitava di tempo per ciò che ti ho detto prima, ossia perché doveva crescere fisicamente con attività specifiche dal punto di vista organico che le società dilettantistiche, al contrario di quelle professionistiche, non possono permettersi. Guardandolo lo scorso anno a Bari, notai che era cresciuto molto sotto questo punto di vista e, proprio a Bruno, dissi che fosse già pronto per la cadetteria. Ora, però, dire che avessi previsto che sarebbe anche andato al Mondiale no, anche perché sembrerei un deficiente… Ero solo convinto che a certi livelli avrebbe spaccato”.
Vederlo al Mondiale, però, che effetto le fa?
“Due cose, dette con immensa sincerità. Sono trent’anni che alleno, e ho avuto la fortuna di stare anche tra i pro e di togliermi tante soddisfazioni tra Serie D e dilettanti. Credo, però, che la volta in cui mi sia emozionato di più da quando sono nel calcio, sia stata quando lui mi mandò la foto della firma del contratto con il Parma, che allora era in Serie A. E’ stata una gioia incredibile per chi interpreta questo lavoro come me: non vivo di successi per soddisfare il mio ego o il giudizio degli altri, ma lo faccio per passione e con la convinzione che bisogna essere, prima ancora che sapere. Quella volta mi emozionai ancor di più che a seguito della sua convocazione per il Mondiale. Questa soddisfazione di andare in Qatar è solo sua, io non c’entro più niente. Per quel contratto con il Parma, invece, forse un po’ si… Mi sono voluto convincere che qualcosina di mio, in quella firma con i ducali, ci fosse“.
Per chiudere, se dovesse prendersi un secondo di celebrità, come si definirebbe in relazione al contributo che ha avuto nella carriera del giocatore? “Fortunato ad averlo incontrato. Mi ha insegnato tante cose, che io ora cerco di trasferire agli altri ragazzi che alleno. E’ stato un emblema: posso parlare di lui e dire perché Cheddira è diventato Cheddira”.