Calcagno, vice presidente AIC: “Questa crisi deve essere l’occasione per riequilibrare il sistema e riformarlo. Taglio stipendi? Non sono i calciatori il problema”
CALCAGNO AIC – Umberto Calcagno, avvocato ed ex calciatore, nonché vice presidente dell’AIC, ha espresso il suo pensiero, alle colonne del Corriere dello Sport. Ecco le sue parole: «Bisogna tornare a giocare, lo dobbiamo a noi stessi e al calcio. Noi faremo la nostra parte ma il conto non possono pagarlo solo i calciatori. Ora, […]
CALCAGNO AIC – Umberto Calcagno, avvocato ed ex calciatore, nonché vice presidente dell’AIC, ha espresso il suo pensiero, alle colonne del Corriere dello Sport. Ecco le sue parole:
«Bisogna tornare a giocare, lo dobbiamo a noi stessi e al calcio. Noi faremo la nostra parte ma il conto non possono pagarlo solo i calciatori. Ora, chiuso in casa a Rimini, rifletto sulle nuove modalità del nostro lavoro: ero abituato a fare migliaia di chilometri per incontrare i calciatori e i vertici istituzionali, ora è una continua call conference. Ripresa? Non possiamo saperlo, ma abbiamo la responsabilità di lavorare ogni giorno per creare le condizioni per riprendere la stagione e portarla a termine regolarmente. È quello che stiamo facendo con la Fifpro, il sindacato mondiale, che è interlocutore di Fifa e Uefa, per capire quali tecnicismi adottare per programmare anche la prossima stagione».
Dunque, i calciatori vogliono tornare in campo e vogliono concludere i campionati? «Sì. È una questione di responsabilità del sistema sportivo. Se non sarà possibile, sarà solo per colpa dell’emergenza. Ma noi ci auguriamo di uscire presto dalla crisi, quando si tornerà a parlare di calcio giocato sarà un segnale importante per il Paese. Se qualcuno ci imponesse lo stop, sarebbe un danno per tutto il sistema». Taglio stipendi? «Noi siamo in contatto con tutti i rappresentanti all’interno delle squadre e sappiamo bene che un accordo quadro valido per tutte le società non può essere raggiunto. Ci sono tante realtà differenti, all’interno della stessa Serie A, poi in B e in Lega Pro, che forse è quella più omogenea. Quanto agli agenti, non siamo in contrapposizione: noi non negoziamo contratti, dobbiamo tutelare invece posizioni collettive. Il problema poi è che c’è troppa demagogia sugli stipendi dei calciatori, da parte di tutti. Noi calciatori facciamo la nostra parte, ma tocca anche agli altri soggetti del sistema calcio che è arrivato a questa emergenza con i conti non in ordine. Questa crisi deve essere l’occasione per riequilibrare il sistema e riformarlo».
Cosa chiede l’AIC? «Una nuova distribuzione delle risorse, visto che siamo il sistema più sperequato che ci sia in Europa. Parlo di squilibri sia all’interno della Serie A che tra la A e le altre leghe con l’attuale ripartizione stabilita dalla legge Melandri. Per questo vogliamo il Fondo di solidarietà: il 10% di una mensilità lorda deve servire a tutelare i redditi più bassi, penso a chi è al minimo federale ma anche alle ragazze di A e B, ai giocatori di calcio a 5, che sono professionisti di fatto perché vivono di calcio. Ma, ripeto: serve una riforma strutturale, non la soluzione temporanea a un’emergenza». Sulle cifre. «La metà dei professionisti in Italia ha contratti al di sotto dei 50.000 euro lordi, circa 2.500 euro netti al mese. Non mi sembra che siano loro il problema. E mi dispiacerebbe se qualche presidente, specialmente in C, mirasse alla chiusura della stagione per risparmiare».