Entella, Gozzi: “Abbiamo vissuto in una bolla assoluta. Se vogliamo andare avanti servirà un netto ridimensionamento”
GOZZI ENTELLA – Antonio Gozzi, presidente della Virtus Entella, è stato intervistato dal Corriere dello Sport, dove ha parlato in particolar modo dei problemi economici che il virus si porterà dietro, coinvolgendo l’industria del pallone. Su “Piazza Levante”, sito di informazione che ha creato con altri soci e amici, ha scritto un editoriale dal titolo: […]
GOZZI ENTELLA – Antonio Gozzi, presidente della Virtus Entella, è stato intervistato dal Corriere dello Sport, dove ha parlato in particolar modo dei problemi economici che il virus si porterà dietro, coinvolgendo l’industria del pallone.
Su “Piazza Levante”, sito di informazione che ha creato con altri soci e amici, ha scritto un editoriale dal titolo: “La salute prima di tutto… ma attenti alla desertificazione industriale”. «Quello che dice Lotito è vero: i club calcistici rischiano tantissimo. Le imprese, come le persone, sono organismi delicati basati su equilibri spesso fragili e sono sistematicamente in lotta per la sopravvivenza. Prima la salute, vero, ma attenzione al crollo industriale. Nelle altre nazioni europee sta andando diversamente. Faccio un esempio. I consumi elettrici sono un indicatore della produttività. In Germania, lunedì, martedì e mercoledì erano calati tra il 2 e il 5 per cento, da noi più del 25. Significa che l’industria tedesca sta lavorando, lavorano tutti, in verità. Come noi, hanno rallentato solo gli spagnoli. Da pochi giorni».
Quale sarà il prezzo che pagheremo? «Un prezzo enorme. Le catene della subfornitura italiana corrono un pericolo mortale. Non siamo i soli a produrre componenti. I tedeschi ne hanno bisogno e se non li prendono da noi, andranno in Polonia, in Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Austria, dove si continua. Dopo, non si rientra nel mercato facilmente». Per i tedeschi la salute è meno importante? «Non credo, credo che il virus sia stato affrontato con più organizzazione, previdenza, con una diversa mentalità. Da noi domina una cultura anti-industriale. Le aziende francesi del nostro gruppo hanno già preso i soldi. La liquidità è la cosa più importante in questo momento. L’ha detto Draghi: dare liquidità alle imprese. Dalle altre parti lavorano e hanno liquidità. Facciamoci un esame di coscienza».
«Le misure sono state troppo draconiane. Non ci si può allenare per niente. Noi, fino a due giorni fa, facevamo venire gli atleti allo stadio. Uno alla volta. Arrivavano in tuta e via, direttamente in campo. Si facevano i loro 35 minuti di corsa e poi a casa. Era anche un modo di proteggere la collettività. Con l’ultimo decreto gli impianti sono sbarrati. Il paradosso è che attorno all’isolato, per strada, con gli altri, possono andare a correre, ma nello stadio, da soli, non possono più». Ripresa? «Tutti cerchiamo di ipotizzare una chiusura della stagione. Non so come faremo, ma ci proviamo. Ci sono conti, contratti tv, sponsor in ballo. La tristezza è che la ripresa del campionato sarà inevitabilmente a porte chiuse. Giusto anche così, se ci sarà l’opportunità, ma il prodotto, senza il pubblico, sarà comunque de-valorizzato. Tre settimane di preparazione sono indispensabili. Noi, per dire, abbiamo giocato l’ultima partita l’8 di marzo, siamo fermi da un mese. Per non far infortunare i ragazzi ci vogliono almeno venti giorni. Ma la chiusura totale reggerà fino a metà aprile. E poi? Fino ai primi di maggio non succederà nulla. La serie B non ha solo il campionato, ma anche playoff e playout. Bisognerà vedere se si riesce a chiudere entro giugno, altrimenti bisognerà rivedere i contratti. Non sarà facile. Però è giusto provarci». Tour de force? «Non ci spaventa. Si può fare. L’Entella, nella stagione 2018-2019 ha giocato per cinque mesi e mezzo tre gare alla settimana. Piuttosto non è fuori dal mondo la proposta Stirpe, spalmare il campionato su due anni. I costi di una stagione vengono spalmati su due, si riprende con il pubblico a novembre, si finisce a febbraio, marzo. Ci può stare». «Ripeto: secondo me Lotito ha ragione, fallirà un numero rilevantissimo di società. Molte, soprattutto in Lega Pro, vivono del minutaggio dei giovani che porta con sé la mutualità della Serie A. Ma senza diritti tv non c’è mutualità. Anche molte società di A e di B erano in difficoltà già prima, figuriamoci ora. Tanti club italiani vivono della munificenza dei loro proprietari. I bilanci in perdita vengono ripagati dai proprietari e dalle loro aziende, ma ora, prima, bisogna salvare le aziende. Abbiamo vissuto in una bolla assoluta, se vogliamo andare avanti sarà necessario un netto ridimensionamento, partendo dagli ingaggi, dal costo del lavoro. Se non ci sono ricavi bisogna tagliare. Il fallimento di una società vuol dire giocatori disoccupati. Ci vorranno anni per riprenderci».
Più giovani in campo? «Una bella idea, ma per ogni giovane che metti in campo c’è un professionista a spasso. Anche l’Aic sui giovani è sempre stata prudente. Tanti giovani in campo vuol dire trentenni in mezzo a una strada».