ESCLUSIVA PSB – Glerean: “Gli allenatori vanno tutelati. Palermo? Ecco com’è andata. Sul Cittadella…”
Il suo passato racconta di esperienze dai dilettanti alla Serie B, con una costante ben precisa: innovazione. Nelle idee, nella proposta, nell’applicazione. Il calcio insegnato da Ezio Glerean, con il famoso 3-3-4 (oppure la nota variante del 3-3-1-3) che ha raccolto innumerevoli consensi, è ancora nelle menti degli appassionati di questo sport. Dopo un periodo […]
Il suo passato racconta di esperienze dai dilettanti alla Serie B, con una costante ben precisa: innovazione. Nelle idee, nella proposta, nell’applicazione. Il calcio insegnato da Ezio Glerean, con il famoso 3-3-4 (oppure la nota variante del 3-3-1-3) che ha raccolto innumerevoli consensi, è ancora nelle menti degli appassionati di questo sport. Dopo un periodo lontano dalla panchina, è tornato Marosticese, compagine dalla quale cominciò la sua carriera da allenatore. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, ecco l’intervista completa.
La prima domanda è tanto ovvia quanto profonda: come sta Ezio Glerean?
“Sono tornato in panchina dopo un periodo dove sono rimasto fermo, pensavo di aver chiuso la mia carriera e mi dispiaceva essere fuori da questo mondo che sento mio. Mi hanno chiamato i ragazzi della Marosticese, che allenavo quando erano bambini e che sono diventati uomini e, insieme ai dirigenti, mi è stato chiesto di tornare. Mi sono tuffato in questa avventura anche perché, avendo scritto un libro su calcio giovanile e dilettantistico, volevo toccare con mano quanto fossero vere le cose raccontate, e purtroppo è così”.
Lei è associato in particolar modo al Cittadella, dove ha permesso alla società di viaggiare nel tempo scoprendo un futuro tattico all’epoca ignoto, e anche oggi poco praticato, dato che i suoi principi di gioco sono stati replicati solo a tratti. È d’accordo nel dire che quella veneta è una piazza ideale per sperimentare, dato che la proprietà permette di fare calcio in un modo più che consono?
“Ogni piazza potrebbe essere ideale, in quanto ciò che contano sono le persone. Ho trovato ambienti pregevoli anche prima di arrivare al Cittadella, ad esempio al San Donà, dove abbiamo sfiorato la Serie C1 partendo dai dilettanti, così come a Bassano, dove ho allenato dal 1990 al 1993 oppure nella precedente esperienza con il Caerano. Ritengo che ad essere cambiato sia lo stile dei dirigenti, è un calcio nuovo dove sono entrate delle figure che hanno disturbato i presidenti, che entravano in questo mondo per una passione che oggi non c’è più. I patron mettevano soldi ma soprattutto cuore. Gabrielli era una figura di riferimento in questo senso, perché era un tifosissimo della sua squadra, appassionato di calcio ma soprattutto un galantuomo, che anteponeva i comportamenti ai risultati. Ha fatto grandi cose con degli uomini che sono ancora lì e con i quali ho avuto la possibilità di lavorare. Lo stesso Marchetti arrivò con noi, iniziò dal settore giovanile per poi diventare direttore sportivo”.
Come commenta, quindi, il passaggio dal presidente-tifoso al presidente-imprenditore?
“A certi livelli siamo oramai in una situazione dove prevalgono gli interessi economici e non i risultati. La situazione drammatica è soprattutto quella dei Dilettanti, dove oggi vi sono delle regole a causa delle quali non può esserci vita, per questo vi sono difficoltà a creare campioni. Abbiamo una società in senso lato, quindi non mi riferisco unicamente al calcio, che non guarda in avanti, ed è questo che dobbiamo denunciare. È una magra consolazione il fatto che, in Nazionale, le prospettive future siano dettate dall’operato di Mancini nelle ultime uscite. Il nostro punto di riferimento in attacco è Quagliarella, un trentaseienne. Questo non può essere positivo”.
Più che una domanda, questa è una considerazione: lei ha cominciato ad allenare nei dilettanti, e ha dovuto faticare molto per arrivare a giocarsi le proprie carte in determinate categorie. È d’accordo nel dire che le progressioni di carriera non sono riconosciute dall’opinione pubblica calcistica, che continua ad anteporre il curriculum? Ezio Glerean non ha avuto i riconoscimenti che avrebbe meritato.
“Prima la società era composta dal presidente, dall’allenatore e dal direttore sportivo, oltre le varie figure necessarie. Oggi le cose sono cambiate, l’allenatore non è più considerato parte integrante della struttura. Purtroppo gran parte delle compagini, sia a livello professionistico che dilettantistico, sono affidate a dei personaggi che spesso non sanno com’è fatto il pallone. Basti pensare che le persone che hanno rovinato il nostro calcio occupavano in precedenza ruoli come postini o capistazione. Hanno danneggiato il nostro movimento calcistico senza mostrare lungimiranza. In Italia abbiamo buttato un patrimonio, è stato constato che circa il 70% dei bambini si iscrive alle scuole calcio, ma più della metà ha già smesso a tredici anni. Oggi come oggi la situazione è ai minimi termini, potremmo essere al livello di realtà come quella inglese, francese, tedesco. Guardiamo ragazzi giovani come Barella oppure Zaniolo, che sono però bravi giocatori, non come i vari Totti, Del Piero, Baggio, Mancini, Baresi che abbiamo ammirato per tanto tempo ma che non sono stati degnamente rimpiazzati”.
Ha avuto modo di conoscere Maurizio Zamparini negli anni passati, con il Palermo che adesso non se la passa bene. Che percentuale di responsabilità crede che vada attribuita all’oramai ex patron rosanero?
“Zamparini è un presidente vecchio stampo, un passionale che ha investito denaro nel mondo del calcio. Per il breve periodo nel quale abbiamo lavorato insieme, ho capito che è un personaggio che vive questo mondo in maniera energica. Il problema dei presidenti sono, come dicevo prima, figure che portano a fare delle scelte sbagliate. Non sono stato mandato via da Zamparini, ma da una persona che voleva portare dei giocatori per mandarne via altri, situazione che non mi trovava d’accordo. Sono diverse le realtà nelle quali, purtroppo, accade ciò. Il nostro male è che ha potere decisionale chi non conosce le regole di uno spogliatoio. Non vogliamo conoscere la verità, non vogliamo approfondire, diamo la colpa ai ragazzi ma siamo noi adulti ad essere cambiati, ed è questo che dobbiamo denunciare”.
L’ultima sua esperienza tra i professionisti è stata con il Cosenza, compagine che è tornata in Serie B e che sta mostrando cuore e qualità nonostante i pronostici sfavorevoli. Si aspettava un simile rendimento da parte della squadra di Braglia?
“Braglia è un grande allenatore, ho avuto modo di incontrarlo diverse volte nei nostri primi anni di carriera, quando lui era al Montevarchi e io al San Donà. Parliamo di un personaggio di spicco, un tecnico che mette cuore e anima in quello che fa. È il profilo ideale per la piazza di Cosenza perché si sposa benissimo con quello che è il tifo dei calabresi. Ritengo che bisogna dare merito agli allenatori, mentre si dà merito ad altri componenti degli organigrammi. Essere un tecnico non vuol dire unicamente allenare la squadra in campo, bensì significa anche far stare bene il gruppo all’interno dello spogliatoio. L’esempio lampante è Spalletti, che ha denunciato quanto accaduto con Icardi, dicendo che non era possibile far rientrare in gruppo un calciatore dopo un caos come quello creatosi, e ha ragione. Lo spogliatoio è realmente un luogo sacro, ci sono delle regole precise e un allenatore, che è un punto di riferimento, deve farle rispettare senza scendere a compromessi, perché quando ciò accade significa essere fuori. Questo però non interessa e le società non intervengono. Prima parlavamo del Cittadella, piazza nella quale ognuno difende il lavoro dell’altro”.
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