ESCLUSIVA PSB – Pochesci: “Il mister è l’anello debole del calcio. Non allenerei mai Quelli Là”
Emblema della veracità per alcuni, vittima del suo personaggio per altri, Sandro Pochesci è un allenatore destinato inevitabilmente a dividere l’opinione pubblica. Il suo volto, tuttavia, è senza dubbio il più iconico di questo campionato di Serie B e la fama acquisita durante l’esperienza alla Ternana pare non esser stata minimamente intaccata dall’esonero. La redazione […]
Emblema della veracità per alcuni, vittima del suo personaggio per altri, Sandro Pochesci è un allenatore destinato inevitabilmente a dividere l’opinione pubblica. Il suo volto, tuttavia, è senza dubbio il più iconico di questo campionato di Serie B e la fama acquisita durante l’esperienza alla Ternana pare non esser stata minimamente intaccata dall’esonero. La redazione di Pianetaserieb.it ha raggiunto telefonicamente il tecnico di Tor Vergata per analizzare, attraverso la lente della serie cadetta, il momento storico del calcio italiano e il ruolo del mister all’interno di esso. Pochesci, come sempre, è un fiume in piena, un vulcano di idee e invettive, ma è costretto a glissare, con evidente rammarico, ogni qualvolta il cerchio si stringe attorno ai colori rossoverdi, palesemente ancora radicati nel suo cuore. Ciò che si evince con maggior chiarezza dalla chiacchierata è l’amore di un uomo per il suo lavoro e la passione, degna di un ragazzino, per il gioco del calcio: valori da preservare, al di là di moduli e conferenze stampa.
Salve mister, so bene che non le è possibile parlare apertamente della Ternana e per questo motivo comincerò da domande di carattere più generale. Per lei era la prima esperienza in un campionato importante come la Serie B, ha notato una differenza così netta rispetto alle categorie inferiori?
“Per me nel calcio non esistono categorie, ma soltanto principi ed idee e l’ho sempre detto anche ai miei ragazzi: non ho incontrato nessuna difficoltà nuova in B, forse mi hanno creato più problemi in Eccellenza e Serie D che negli ultimi due anni. Non lo dico per presunzione, ma per esperienza diretta. La reale differenza poi la fanno le rose e le ambizioni, ma si gioca sempre nello stesso modo”.
Continuando a focalizzarci sulla cadetteria, voglio chiederle a bruciapelo qual è la tifoseria che più l’ha impressionata, quale il calciatore e quale il tecnico.
“Per attaccamento e calore sicuramente Salernitana e Foggia, sono due piazze che vivono il pallone in maniera viscerale. Per me, però, la mia tifoseria era la migliore, il popolo ternano è unico. Come calciatore non posso non citarti uno dei miei: Luca Tremolada. Non mi riesco a spiegare come uno con le sue qualità ed il suo talento non sia ancora arrivato in Serie A. Ha fatto tantissimi gol avvicinato alla porta, ma ha ancora margini di crescita, perché ne ha sbagliati il doppio. Penso che quelli con la sua classe, soprattutto in formazioni operaie, non debbano sacrificarsi per la squadra, ma che anzi sia la squadra a doversi sacrificare per lui, mettendolo in condizione di sprigionare il meglio del repertorio. Però ognuno vede il calcio a modo suo. In merito agli allenatori dico senza dubbio Calabro e Inzaghi, mi hanno impressionato per forza di volontà ed umiltà. Non voglio ancora svelare cosa mi ha detto SuperPippo a microfoni spenti, ma ti confesso che riguardava la mie esternazioni sulla Nazionale: vedere un campione del mondo spendere frasi del genere nei miei confronti mi ha molto inorgoglito, ma sul momento mi ha lasciato senza parole”.
Ultimo quesito sul campionato: quali sono le sue favorite per la lotta promozione e chi, invece, rischia di più la Serie C?
“Per me la favorita assoluta è l’Empoli, mentre credo che Bari, Frosinone e Palermo potranno giocarsi il secondo posto. In ottica play-off occhio soprattutto al Parma, che ha calciatori di valore assoluto come Ciciretti e Ceravolo, i quali, se entreranno in condizione, potranno fare la differenza. Se devo, però, fare un nome a sorpresa dico Foggia: hanno fatto uno splendido mercato a gennaio, sono trascinati dall’entusiasmo tipico delle società del Sud ed in più sono guidati da un allenatore che ha sempre fatto giocare bene la squadra, anche da ultima in classifica. Va fatto un enorme plauso alla dirigenza che ha dato fiducia a Stroppa anche nelle avversità, magari altrove non avrebbe concluso la stagione. Ora hanno tutte le carte in regola per stupire. Per quanto concerne la lotta per non retrocedere, secondo me se la giocano in cinque: Entella, Ternana, Pro Vercelli, Cesena e Ascoli. Le considero tutte sullo stesso piano, non vedo sinceramente squadre materasso. Oltre a questo gruppo deve stare attenta la Salernitana, che si sta facendo risucchiare dalle zone basse della classifica e se non dà subito una sterzata potrebbe restare coinvolta nel discorso play-out fino alla fine”.
Parlando di Foggia e Salernitana mi ha servito un assist niente male per una considerazione di più ampio respiro: i Satanelli hanno tenuto il mister, nonostante i risultati non gli stessero dando ragione, mentre Lotito ha congedato abbastanza in fretta Bollini. La classifica ora dimostra la bontà della scelta dei pugliesi e l’effetto negativo del cambio di panchina dei Granata. Secondo lei, è utile l’esonero quando le cose non girano bene o è frutto di una cultura spesso frenetica e controproducente?
“Il calcio italiano è questo da sempre, ogni anno sono ben pochi i club che terminano la stagione con lo stesso allenatore con cui l’avevano iniziata. Ogni società, del resto, ha i propri obiettivi ed i tecnici nostrani sono tutti preparatissimi, per cui la scelta è ampia. A volte i cambi sono effettivamente utili: basti pensare a come Castori ha ribaltato il Cesena o all’ottimo periodo del Novara dopo l’arrivo di Di Carlo. Tante altre volte, però, come dimostra la vicenda della Pro Vercelli con Grassadonia, sono deleteri. Io sono del parere che l’esonero di per sé non sia una scelta errata, ma che spesso lo sono le motivazioni: non si dovrebbe ragionare soltanto nell’ottica dei risultati, ma bisognerebbe prendere in esame diversi fattori come le prestazioni, il rapporto con la squadra e quello con l’ambiente. Cambiare allenatore è una moda, lo si fa anche se i problemi sono altri perché è più semplice che cacciare venti giocatori. Siamo l’anello debole del calcio: quando si vince una partita il merito è dell’autista del pullman che è entrato nel cancello, del magazziniere che ha portato le magliette a maniche corte o del team manager che ha messo la camicia bianca, quando invece si perde è sicuro che la colpa sarà la nostra. Hai notato che tutti i tecnici dopo un paio di anni mettono i capelli bianchi? Lo stress è tanto, pensa che io in queste quattro partite fermo ho ritrovato i miei capelli biondi e ricci. A volte stare a riposo serve, ma sento la mancanza del campo come un bambino avverte quella delle caramelle. Il nostro è un mestiere complicato, ma lo amo profondamente e non lo cambierei per nulla al mondo. Chi lo sceglie adora le sfide e non si aspetta di vincere facile, conosce le regole”.
Oltre al discorso legato agli esoneri, ci tenevo ad affrontare con lei un altro luogo comune del calcio italiano. Spesso le è capitato negli scorsi mesi di ascoltare gente che parlava del bel gioco della Ternana come un deterrente per raggiungere i risultati, più facilmente ottenibili grazie ad un calcio pratico ed essenziale. Ai massimi livelli del calcio italiano, Napoli e Juventus incarnano al meglio le due differenti scuole di pensiero. Lei da che parte si schiera? Crede davvero che lo spettacolo in campo complichi la strada per arrivare ai successi?
“Per me non si tratta di giocare bene o giocare male, ma di puntare sulla coralità o sui singoli. Stimo enormemente Sarri perché ha saputo costruire dei fuoriclasse partendo da calciatori normali, ma sicuramente quando si dispone di calciatori molto forti si reputa più semplice lasciare spazio unicamente a loro. Credo, però, che la grande sfida dei mister ambiziosi consista proprio nel dare identità di squadra a talenti stratosferici e nella mia vita ho visto soltanto Sacchi e Guardiola riuscirci. Sarri potrebbe essere il terzo se gli venissero dati i giusti innesti”.
Ultima curiosità per chiudere in bellezza: sarebbe mai disposto ad allenare il Perugia?
“No, non potrei mai. Chi ha vestito la maglia della Ternana non allenerebbe mai “Quelli là”.
RIPRODUZIONE CONSENTITA SOLO PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE