ESCLUSIVA PSB – Ferrante: “Pisa, Anconetani un maestro. Che piazza Salerno. Su Ascoli, Perugia e Pescara…”
Una carriera scandita da quella che, per un attaccante, è la più piacevole delle abitudini: il gol. La categoria non era un problema, Marco Ferrante ha sempre timbrato il cartellino con regolarità. Oggi direttore generale del FC Messina, ecco le sue dichiarazioni rilasciate in esclusiva ai nostri microfoni. Marco, vorrei cominciare citando un’esperienza che, a […]
Una carriera scandita da quella che, per un attaccante, è la più piacevole delle abitudini: il gol. La categoria non era un problema, Marco Ferrante ha sempre timbrato il cartellino con regolarità. Oggi direttore generale del FC Messina, ecco le sue dichiarazioni rilasciate in esclusiva ai nostri microfoni.
Marco, vorrei cominciare citando un’esperienza che, a mio avviso, ti ha permesso di acquisire notevole consapevolezza di ciò che avrebbe poi realizzato nella sua carriera, ovvero Pisa. Tanti gol tra campionato e Coppa Italia. Che ricordo hai di quella stagione?
“Sicuramente positivo, anche grazie a Romeo Anconetani, che è stato un maestro, sia in Serie A che in cadetteria. Ha portato fior fiori di calciatori al Pisa. Nella stagione in cui ho indossato la maglia dei toscani in rosa c’erano profili del calibro del Cholo Simeone e Chamot. Addirittura non potette essere tesserato, per questioni burocratiche relative al numero di stranieri, Henrik Larsen, che risultò essere capocannoniere agli Europei del ’92 (in quell’annata fu girato in prestito al Lyngby per poi tornare al Pisa nella stagione 1992-1993, ndr). Sfiorammo la Serie A, avevamo una grande squadra”.
Lo stadio del Pisa, l’Arena Garibaldi, è stato contitolato proprio allo storico presidente Romeo Anconetani, che hai avuto modo di conoscere e vivere. Che rapporto c’era tra di voi?
“Ottimale, lo posso assicurare. Con me così come con Andrea Fortunato, che in quell’anno militava anch’egli nel Pisa. Eravamo due calciatori in prestito, Andrea dal Genoa e io dal Napoli. Anconetani era disposto a fare carte false per tenerci anche nella stagione successiva ma la cosa fu resa proibitiva dalla volontà del Napoli di riportarmi all’ombra del Vesuvio e dal Genoa, che diede ad Andrea la possibilità di disputare un campionato di Serie A prima del trasferimento alla Juventus. Il Presidentissimo
aveva un incredibile rapporto personale con tutti i calciatori, oggi presidenti così non ci sono. Forse, con le dovute proporzioni dato che siamo in Serie D, sto vivendo un qualcosa di simile nel FC Messina con Rocco Arena, anche lui è un passionale ed è un tifoso prima che presidente. Personaggi così danno una pacca della spalla ai calciatori nei momenti del bisogno, questo è un bel segnale, perché certe dinamiche non le manifesta nemmeno il tecnico, che all’epoca era un importante profilo come Ilario Castagner”.
Dopo Pisa hai l’opportunità di misurarsi con la massima serie, per poi tornare in cadetteria prima con il Perugia e poi con la Salernitana. Questo biennio precede la tua esplosione con il Torino.
“Di Perugia non ho un ricordo molto positivo, ma non per ciò che concerne la piazza, che reputo importantissima, bensì per un discorso societario. Tanti calciatori, tra cui il sottoscritto, in quella stagione ebbero tantissimi problemi con la famiglia Gaucci. Non mi piace parlare di cose poco gradevoli, preferisco sempre vedere il bicchiere mezzo pieno, sono dell’avviso che tutto, nella vita, sia fonte di esperienza, sia le cose positive che quelle negative. Per quanto riguarda Salerno, parliamo di una piazza allucinante, sia come città, che come tifoseria. Giocare all’Arechi, quando le cose vanno in un certo modo, è fantastico. Auguro all’ambiente il meglio per la stagione in corso, perché ci sono tutti i presupposti per fare cose pregevoli. Essendo un uomo del Sud, spero che società come Salernitana, Benevento oppure Crotone possano arrivare nella massima serie”.
Hai segnato gol a grappoli nella sua carriera, scrivendo pagine importanti della storia recente di club gloriosi come il Torino, ad esempio. Ritengo, però, che una delle esperienze più “romantiche”, nel senso calcistico del termine, del tuo percorso sia stata quella vissuta ad Ascoli. Una squadra arrivata al quinto posto in Serie B nella stagione precedente che disputa un campionato sopra ogni aspettativa nella massima serie, con te come miglior marcatore.
“Nell’arco della mia carriera non mi è mai capitato di finire le partite e non essere stanco, come successe nell’esperienza all’Ascoli, nonostante avessi 34/35 anni. Ho avuto la fortuna di lavorare con un allenatore eccezionale come Giampaolo, che reputo inoltre un’ottima persona. Non dimentichiamo che sull’altra sponda di Milano ha lasciato le penne Gasperini. Parliamo di piazza dove, se non ottieni tutto e subito, vieni messo in discussione. Ufficialmente l’allenatore era Massimo Silva e il vice proprio Giampaolo, ma questo per il solo fatto che Marco dovesse ancora prendere il patentino. È un notevole uomo di calcio, alle volte va addirittura controcorrente rispetto a ciò che insegnano a Coverciano. Ad Ascoli facemmo un campionato strepitoso, esprimendo un calcio favoloso. Riuscimmo a dare filo da torcere a tutte le big. Giocai quasi tutte le partite e, come dicevo prima, il fisico reggeva benissimo e questo grazie ad un tecnico che fa correre tanto ma bene i propri calciatori, senza corse a vuoto. Ho preso la strada direttore sportivo, altrimenti mi sarei sicuramente ispirato a lui”.
Ultimo tema è il Pescara. Numeri alla mano, furono 6 mesi difficili, per te e per la squadra. Cosa non funzionò?
“Piazza importante, ma in quell’anno fu costruita una squadra a mio avviso non in grado di militare nelle parti alte della classifica. A questo poi bisogna aggiungere qualche problema societario, perché il presidente passava dal voler vendere al non voler vendere. Circa la tifoseria, invece, devo dire che sembrava che giocassimo sempre fuori casa, perché nelle piazze molto calde si pretendono certezze da squadra e società e queste, domenica dopo domenica, non arrivavano. Quindi si cascò tutti, calciatori e dirigenza, in un limbo dal quale non si riuscì mai a uscire. Furono inoltre cambiati tre allenatori, a testimonianza del fatto che mancavano le fondamenta”.