Un’opera d’arte che ha irradiato la Serie B: Spezia, è stato un onore
VINCENZO ITALIANO SPEZIA – Non c’è arte senza ossessione, sosteneva Cesare Pavese. La ricerca dell’emozione vive periodi non sempre sfarzosamente colorati, dato che alle volte il grigio e l’incertezza puntano a travolgere brutalmente qualsiasi elegante e appassionante sogno. La parola percorso, nonostante sia costituita da appena otto lettere, racchiude settimane, mesi, anni di lavoro, costruzione, […]
VINCENZO ITALIANO SPEZIA – Non c’è arte senza ossessione, sosteneva Cesare Pavese. La ricerca dell’emozione vive periodi non sempre sfarzosamente colorati, dato che alle volte il grigio e l’incertezza puntano a travolgere brutalmente qualsiasi elegante e appassionante sogno. La parola percorso, nonostante sia costituita da appena otto lettere, racchiude settimane, mesi, anni di lavoro, costruzione, aggiornamenti. Un esito che, con perseveranza, convinzione e passione, al triplice fischio del viaggio intrapreso, sarà idilliaco.
Applicare questo modus vivendi al calcio non è facile, in particolar modo in un movimento, quello italiano, eccessivamente razionale e propenso a far fede esclusivamente a dati oggettivi (che oggettivi alle volte non sono) come i risultati. Emozionare deve persistere come mantra, ricordando che uno sport globalizzato, doverosamente definito un’ecosistema e un’industria, con un impatto socio-economico superiore ai tre miliardi di euro (su suolo italiano), ha una componente ludica che non va estirpata. Il calcio è (anche) divertimento e coinvolgimento.
Apripista, tutto ciò, all’elogio di chi ha sincretizzato emozione, lavoro e risultati attraverso la positiva ossessione che ha generato arte applicata al calcio. Vincenzo Italiano non ha mai abdicato al proprio io, ha premuto l’acceleratore sull’umore del suo Spezia quando le dinamiche sembravano essere avverse e, con dialogo, passione e lodevoli principi di gioco ha mostrato come sia fondamentale guardare la luna e non il dito. Una luna che per i liguri rappresentava la magnificenza stilistica di un calcio costruito sulla dotazione di strumenti adatti a conoscere e interpretare il flusso di eventi che costituisce la partita, fenomeno impossibile da predire e, per questo motivo, da affrontare con l’elasticità fondamentale per gestire le circostanze che solo un calcio senza catene può conferire.
Analizzare lo Spezia, partendo da aspetti macro soffermandosi poi sui movimenti senza palla, le imbucate, le rotazioni e tanto altro ancora, permette di confermare come il calcio, al giorno d’oggi, stia viaggiando su una dimensione diversa rispetto al passato, dove le certezze derivavano da codifiche che non mutavano e che rappresentavano un’ancora cui aggrapparsi indipendentemente dalle circostanze prima citate. Non è così. Vincenzo Italiano ha sapientemente agito con dialogo e indicazioni, riuscendo a trasmettere concetti nella giusta maniera. Gestire un gruppo di persone, prima che di calciatori, è fondamentale, ergo non basta il riferimento tattico, bisogna essere in grado di far comprendere la bontà del lavoro effettuato. Questo è sicuramente complicato quando l’oggettività (prevalentemente) italiana descritta in apertura, quella del risultato, non sorride. È quanto accaduto a inizio stagione, dove le prestazioni non trovavano conferme nella classifica. Italiano (supportato da un maestoso Guido Angelozzi e da una società solida nelle decisioni e nella gestione) ha focalizzato l’attenzione sul lavoro, allontanando i ragazzi dalle distrazioni delle critiche social e dai dubbi che inevitabilmente possono occupare la mente di una persona.
I tredici risultati utili consecutivi tra novembre e febbraio (il primo proprio contro il Frosinone, che ieri ha battagliato con merito contro gli Aquilotti) hanno sancito il definitivo punto di rottura con un fastidioso principio di annata. Spiccato il volo, la rottura dei dogmi a favore del calcio più divertente e armonico della B è stata straordinariamente netta. Il 4-3-3 è una semplificazione giornalistica e probabilmente concettuale per facilitare la comprensione di un copione molto più complesso (nell’accezione positiva del termine) e foriero di innovazione calcistica in una categoria, la cadetteria, che poco a poco comincia ad accogliere la novità.
Come va inquadrato Salva Ferrer quando occupa l’half space, ovvero la zona che separa centrocampo e fascia? Giocata da mezzala per quello che è un terzino destro, deputato, secondo la letteratura del fútbol, ad arare esclusivamente l’esterno del campo. Mastinu è nato e cresciuto come ala e/o trequartista, eppure quest’anno ha arretrato il proprio raggio d’azione per avere più campo in cui sfruttare la propria tecnica oppure generare superiorità posizionale prima e funzionale poi attraverso i movimenti senza palla, una peculiarità illuminante di questa squadra. Gyasi, presentato come ala sinistra ma in gol quasi sempre grazie a giocate all’interno dell’area di rigore. Il perché è intuitivo: non esiste una sola possibilità ma un ventaglio di opzioni cui attingere in qualsiasi fetta del rettangolo verde, e il classe ’94 ha beneficiato di movimenti da prima punta partendo da posizione defilata. Come va definito un calciatore così? Matteo Ricci, teoricamente regista chiamato a regolare il battito della manovra davanti la difesa ma prezioso per dinamicità e padronanza della qualità a tutto-campo. Potremmo continuare esaltando la dinamicità di Bartolomei, la funzionalità di Nzola e tanto altro ancora.
Entrare nella storia è sempre fantastico perché nessuno potrà mai negare ciò che è stato raggiunto, ma farlo con una simile qualità, bellezza e concretezza ha un sapore ancora più dolce. Chiudiamo allo stesso modo di come abbiamo cominciato, ovvero esaltando la positiva e ossessiva convinzione della soavità del progetto Spezia, che ha permesso a Vincenzo Italiano e ai suoi ragazzi di creare un’opera d’arte, ora chiamata a brillare anche nel più importante dei musei, la Serie A.
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